iPhone 5, una cura contro la depressione (economica)?
Economia

iPhone 5, una cura contro la depressione (economica)?

J.P. Morgan dice che il nuovo telefono della Apple potrà regalare fino a mezzo punto percentuale al Pil Usa del prossimo trimestre, senza considerare l’indotto di accessori legati al melafonino. Ma alcuni economisti, tra cui un Premio Nobel come Paul Krugman, pensano che non sia questa la strada migliore per una crescita di lungo periodo

Tra i tanti poteri taumaturgici attribuiti in questi giorni al nuovo iPhone 5, c’è anche la possibilità che riesca a far salire il Prodotto interno lordo americano del prossimo trimestre fino a mezzo punto percentuale. A fare il calcolo è stato il colosso finanziario J.P. Morgan, stimando una vendita di circa 8 milioni di pezzi del melafonino da ottobre fino a dicembre. In cifre, parliamo di 3,2 miliardi di dollari su scala trimestrale che, se il trend fosse confermato, diventerebbero 12,8 miliardi su scala annuale.

Vero è che lo smartphone di Apple è prodotto in Cina, ma sottraendo 200 dollari dal prezzo di mercato che vanno al Paese asiatico – questo almeno il ragionamento condotto da J.P. Morgan – tutto il resto è denaro che entra nella tasche americane, diviso tra la stessa Cupertino, i grossisti, i rivenditori su strada e on line, i pubblicitari, insomma tutta la lunga catena di soggetti che ogni volta beneficiano di questo oggetto dei record, che a marzo 2012 ha sfondato la quota dei 200 milioni di pezzi venduti in tutto il mondo dal momento della prima apparizione sul mercato avvenuta nel giugno del 2007.  

In verità il mezzo punto percentuale di cui parla J.P. Morgan è la stima più ottimistica, ed è la stessa società a chiarirlo, ma potenzialmente lo 0,25% è il contributo minimo al Pil che potrebbe dare. E però, nei giorni successivi alla pubblicazione del rapporto, sono circolate in rete due considerazioni che potrebbero fare apparire per difetto persino il mezzo punto percentuale e rendere ancora più sostanzioso l’impatto dell’iPhone 5 sull’economia americana.

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La prima: J.P. Morgan ha fatto un calcolo su un prezzo da 600 dollari, che è quello del modello di base (i clienti Usa lo pagano meno tramite un contratto con gli operatori, che a loro volta però rimborsano una quota a Apple), ma per quello da 64 giga si superano come minimo gli 800 dollari. La seconda: la stima tralascia tutta l’enorme mole di accessori che vengono venduti assieme a un melafonino. Dalle cover alle casse, senza contare i frutti del grande capolavoro messo in piedi da Apple: la sostituzione del connettore che serve per ricaricare il telefono e per collegargli qualsiasi altro dispositivo, spingerà milioni di persone a spendere 30 dollari (29 euro in Italia, per la cronaca) per usare i vecchi accessori con il nuovo.

Insomma, il piccolo telefonino potrebbe fare davvero il grande miracolo di dare un’accelerata all’impigrita economia americana dei prossimi mesi. Siamo sotto il punto percentuale, è vero, ma se lo parametriamo rispetto alle dimensioni di un intero Paese, per giunta vasto come gli Usa, la potenza di fuoco è evidente. E però questa visione non è così positiva come potrebbe sembrare, almeno secondo il ragionamento di Paul Krugman, noto economista già Premio Nobel.

Sul New York Times ha scritto, in estrema sintesi, che non è una maggiore spesa a trainare l’economia e che se un miglioramento c’è è solo congiunturale, non certo strutturale. Per capirci, passata l’ubriacatura si ritorna al punto di partenza a meno di non investire questo denaro, suggerisce Krugman, in infrastrutture ed educazione. L’economista, in compenso, aggiunge un dettaglio parecchio significativo. La spesa aumenta quando si crea e si percepisce l’obsolescenza: quando cioè una nuova generazione di prodotti induce i consumatori a sbarazzarsi dei vecchi per acquistarne di nuovi.

Da questo punto di vista, va riconosciuto, la Apple non teme rivali. È bravissima a trasformare ogni evoluzione di una sua creatura - melafonino, iPad o computer non importa - in un qualcosa di necessario, di irrinunciabile. Se anche altri riuscissero a mutuare questo modello, sarebbe interessante calcolare quali sarebbero le ricadute sull’economia. E non solo su quella americana.    

Twitter: @marmorello

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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