Infrastrutture, ecco come investire i 7 miliardi della Ue
Economia

Infrastrutture, ecco come investire i 7 miliardi della Ue

Secondo Carlo Stagnaro bisognerebbe puntare su edilizia scolastica e sicurezza antisismica. No invece a opere faraoniche

Smaltita la soddisfazione per l’atteggiamento decisamente più conciliante che l’Unione europea ha dimostrato verso i conti pubblici italiani, ora il governo è chiamato a decidere in tempi rapidi come intende utilizzare le risorse aggiuntive che avremo a disposizione. Grazie infatti ad un allentamento, concesso sul medio termine, dei vincoli sul deficit, che comunque dovrà però restare entro il fatidico 3% di rapporto rispetto al Pil, l’Italia avrà a disposizione circa 7 miliardi di euro da poter spendere in cosiddetti “investimenti pubblici produttivi”. Una definizione che, a onor del vero, anche a livello comunitario presenta ancora dei coni d’ombra. Non è stato infatti definito nel dettaglio quali tipi di spesa possano essere effettivamente ricompresi in questa categoria. Ovvio però che di fronte a cifre di questa portata il pensiero corre subito alle grandi opere infrastrutturali che possano in modo particolare rilanciare l’occupazione.

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Dalla Tav al tunnel del Brennero fino alla Variante di Valico, solo per citarne qualcuna, in effetti di opere da portare a compimento ce ne sarebbero un bel po’. Come decidere allora dove concentrare quei famosi sette miliardi, al cui finanziamento in parte provvederà anche l’Europa? Lo abbiamo chiesto a Carlo Stagnaro, direttore dell’Istituo Bruno Leoni, che esordisce con una considerazione nettamente in controtendenza rispetto all’attuale pensiero dominate.

“Nonostante ormai ci sia la convinzione diffusa che sia necessario fare grandi investimenti per rilanciare la nostra economia – dice a sorpresa Stagnaro – io se fossi al posto del presidente del Consiglio opterei per non spendere quei sette miliardi. Li terrei invece come fondo di riserva, nel caso la nostra economia dovesse continuare ad andare male e ci fosse bisogno di intervenire per delle emergenze. Agirei insomma con più cautela, e non come quel vecchio padre di famiglia ubriacone, che appena mette le mani sul proprio stipendio, corre al bar a bere spendendosi tutto”. Una premessa che secondo Stagnaro è tra l’altro rafforzata dal fatto che  in effetti “stiamo parlando comunque di soldi che ancora materialmente non esistono, frutto di un semplice gioco contabile”.

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Smorzato così sul nascere qualsiasi entusiasmo, Stagnaro non si sottrae però dal fornire comunque una propria indicazione nel caso si decidesse di investire effettivamente i famosi sette miliardi a disposizione. “Se proprio bisogna spenderli – afferma – allora innanzitutto eviterei categoricamente di puntare su opere faraoniche. Sono quelle che infatti prevedono tempi di approvazione burocratica biblici, basti pensare che per avere un permesso di Via ci possono volere anche cinque anni. Senza contare che poi le grandi opere sono quelle in cui si verificano gli sprechi maggiori”. Chiusa la strada dunque alle grandi infrastrutture, che secondo Stagnaro dovrebbero essere in grado di attrarre piuttosto investimenti privati, le alternative invece praticabili dovrebbero essere di tutt’altro genere.

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“Io punterei innanzitutto sull’edilizia scolastica, di cui abbiamo un gran bisogno. E poi investirei in infrastrutture che siano propedeutiche alla messa in sicurezza sismica delle zone più a rischio del Paese, a cominciare ad esempio dall’Emilia che negli ultimi tempi ha subito a causa dei terremoti danni molto ingenti”. Insomma una prospettiva più low profile, ma che comunque potrebbe avere effetti significativi. “Le opere a cui penso io – aggiunge infatti Stagnaro – porterebbero comunque elementi positivi in termini di occupazione e soprattutto avrebbero ricadute importanti su vari territori a livello locale”. Vedremo dunque se il governo terrà conto di questi suggerimenti.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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