Imprese senza soldi, ci pensa la Libia
Economia

Imprese senza soldi, ci pensa la Libia

Le aziende del Nord interessate alla ricostruzione del dopo Gheddafi non ottengono prestiti dalle banche. Così si rivolgono a un istituto di credito di Tripoli

Possibile che le imprese italiane vadano a cercare il credito in Libia? Più che probabile, se ne hanno bisogno per partecipare ad appalti in quel paese e se lavorano nell’edilizia, settore che soffre più di ogni altro per l’interminabile crisi italiana. Visto che da noi non si apre un cantiere, a decine cercano il lavoro dove c’è e si presume ci sarà nei prossimi anni. La Libia del dopo Gheddafi, con le sue città da ricostruire, è uno dei paesi più promettenti, nonostante l’instabilità politica. Ma per provare ad approfittarne bisogna mettere sul tavolo qualche soldo, e le banche italiane in questo momento non ne prestano.

«Sono in arrivo centinaia di piccoli appalti tagliati su misura per le nostre imprese» dice l’ex direttore della sede di Tripoli dell’Istituto per il commercio estero Umberto Bonito, ora consulente in proprio. Precisa che si può partecipare solo in joint-venture con i libici e che questo comporta una spesa di centinaia di migliaia di euro, a cui poi aggiungere la fideiussione in caso di vittoria. «Conosco almeno 10 aziende venete, friulane e lombarde che non sanno come trovarli. E mentre loro fanno i conti con la crisi del credito, gli appalti vanno ai concorrenti turchi». Le nostre banche, a quanto sembra, considerano il rischio paese ancora troppo alto, mentre gli imprenditori sostengono che questo vale solo per Bengasi, mentre a Tripoli e Misurata la situazione si starebbe normalizzando. E se non si mettono radici ora si resta tagliati fuori anche in futuro. Il governo può fare qualcosa? Il viceministro dello Sviluppo economico, Mario Ciaccia, ha ben presente il problema: «Sono stato due volte in Libia e quattro in Algeria, stabilendo ottime relazioni con le autorità di entrambi i paesi. Ma non può essere il governo a garantire per i crediti alle imprese».

La questione, insomma, è fra istituti di credito e aziende. Ed è qui che entra in ballo la Ubae, banca a capitale italo-arabo controllata al 67 per cento dalla Libyan foreign bank e partecipata anche da gruppi italiani come Unicredit, Intesa Sanpaolo, Eni e Telecom. Il gruppo Nordest per la ricostruzione della Libia (associazione a cui aderiscono 160 imprese soprattutto venete) ha già preso contatti con i rappresentanti della banca in Italia. «Sono molto interessati alle imprese della nostra zona» spiega il presidente del gruppo, Arduino Paniccia, «e già nei prossimi giorni potremmo siglare un accordo quadro per aprire linee di credito a quanti intendono investire in Libia».

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Stefano Caviglia