Imprese che resistono: l'uscita dalla crisi è lontana
Economia

Imprese che resistono: l'uscita dalla crisi è lontana

Parla Luca Peotta: "La verità è che è un'impresa resistere"

Il premier Mario Monti e il ministro per lo sviluppo economico Corrado Passera al Meeting di Rimini hanno detto di vedere l’uscita dalla crisi. Forse perché guardano l’orizzonte europeo, dove sembra che la tempesta stia calando. Ma per Luca Peotta la realtà quotidiana di chi fa impresa, piccola impresa, è ben diversa. "A me sembra l’inizio". Parla dai suoi uffici di Villafalletto, provincia di Cuneo, dove ha sede la sua azienda che si occupa di manutenzione, una srl.

È un piccolo imprenditore che non vuole arrendersi e per questo ha creato il movimento Imprese che resistono. "Fino a quando?", dice adesso. L’uscita dalla crisi secondo lui non è così vicina e per questo sta lavorando all’organizzazione di una manifestazione a Torino per sollecitare il governo a ridurre la pressione fiscale e far crescere i salari. "Il nocciolo della questione è la domanda interna", dice e anticipa: "Lo slogan sarà: “Imprese che resistono. È un’impresa resistere”.

Mi era balenata l’idea di scendere in piazza il 14 ottobre, anniversario della manifestazione dei 40mila quadri Fiat nel 1980. Ma faremo il 24, anche se vogliamo evocare quel momento che segnò un cambiamento storico. Anche noi piccoli imprenditori vogliamo lasciare il segno. Perché l’economia reale siamo noi!".

D’accordo, ma il ministro Fornero ha detto che dovreste darvi una mossa e tornare a investire…
La trovo un'uscita malsana. Adesso sembra che la colpa sia nostra, che non vogliamo investire. Nella crisi mondiale ed europea, c’è una crisi italiana più radicata. Non abbiamo mai smesso di credere nella nostra attività. E infatti siamo le imprese che resistono. Ma un imprenditore non si sveglia la mattina e dice: adesso investo. Lo fa quando c'è un’economia che funziona e politiche industriali che si fanno vedere. E poi investire cosa? Gli utili? Ma lo sa il ministro che non si fanno da parecchio tempo?

Prevede quindi un autunno difficile?
La storia di questi ultimi tre anni ci insegna che dopo la pausa di agosto ci sono attività che non ripartono. È facile prevedere che anche questo settembre sarà tragico. Mentre negli anni passati c'era fieno in cascina, oggi non ce n’è più. Pensi solo alla provincia di Cuneo, che è sempre stata un’isola felice con stabilimenti-locomotiva: secondo Unioncamere entro fine anno perderà 1.200 posti di lavoro. La situazione è grave.

Che cosa significa per un piccolo imprenditore?
Nell’indotto c’è un silenzio lugubre. Il primo messaggio di allerta che noi piccoli percepiamo è il telefono che non squilla, perché non arrivano più gli ordini.

Quanto complica la vita il rapporto con le banche?
Il credit crunch è un discorso che conosciamo da tempo. Oggi lo sentiamo maggiormente perché le banche non sembrano più credere nel settore manifatturiero. Fanno resistenza ad alimentare le piccole e medie imprese. E hanno anche ragione dal loro punto di vista: nessuno getta legna su un fuoco quasi spento. Le commesse non arrivano, la banca si irrigidisce, il credito non arriva o lo paghi caro.

Quanto caro?
Dal 7% al 13%, dipende dalle banche e dalla situazione dell'azienda. Siamo vicini ai livelli di metà anni 80, quando il denaro si pagava il 19%. Allora, però, si poteva giocare con l’inflazione. Oggi non si può più fare.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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