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Chip Somodevilla/Getty Images
Economia

Il protezionismo di Trump può portare una nuova "grande depressione"

Mille economisti, fra i quali 14 premi Nobel, hanno cercato di spiegare al Presidente perché la sua linea commerciale rischia di distruggere il benessere degli Stati Uniti

Oltre mille economisti hanno scritto a Donald Trump per contestarne le politiche protezionistiche in materia economica e metterlo in guardia dal ripetere gli stessi errori che furono commessi dagli Stati Uniti negli anni Trenta e che scatenarono la Grande Depressione.

Chi ha firmato la lettera contro Trump

Tra i firmatari si segnalano ben quattordici premi Nobel, oltre a nomi noti di vario orientamento politico, come Jason Furman, consulente economico di Barack Obama, e James Miller, uomo di punta dell'Amministrazione Reagan.

I rischi della politica economica di Trump

Gli autori dell'appello pubblicato giovedì scorso sono allarmati dal proliferare di iniziative protezionistiche di vario genere, dalla minaccia di ritirarsi da accordi commercialida tempo in vigore, come il Nafta, all'introduzione di nuove barriere tariffarie di cui i dazi sull'acciaio e l'alluminio sono solamente l'ultimo esempio.

Perché il libero scambio ha fatto crescere l'America

Nella lettera, si confuta la tesi secondo cui le crescenti disuguaglianze e il peggioramento nella qualità della vita di molte persone sia da ricondurre al pieno dispiegarsi degli effetti del libero scambio, che invece è stato motore di crescita. Si ignora, in questo modo, che il livello di prosperità raggiunto dagli Stati Uniti sia invece da attribuirsi proprio al commercio internazionale e che il Paese è inserito nel meccanismo dell'aperura agli scambi molto più che in qualsiasi altro momento della sua storia.

Perché il protezionismo spaventa gli economisti

A prendere l'iniziativa di raccogliere così numerose e prestigiose firme per attirare l'attenzione del Presidente è stato Bryan Riley della National Taxpayers Union, una lobby conservatrice che conta oltre trecentomila iscritti. La preoccupazione è che la narrativa contraria al libero scambio cara a Trump (ma anche al progressista Bernie Sanders, sconfitto alle primarie da Hillary Clinton ma molto popolare nell'elettorato di sinistra) possa incrinare l'impegno del Paese nel sostenere il commercio internazionale non solo come veicolo per aumentare la ricchezza della popolazione, ma anche come strumento per prevenire eventuali conflitti, così come è avvenuto dal Dopoguerra in poi.

L'ombra degli Anni '30

La storia, del resto, si ripete: anche nel 1930 un migliaio di esperti esortarono il Congresso a respingere lo Smoot-Hawley Tariff Act, considerato il primo tassello del protezionismo americano dell'epoca. Gli economisti di allora rimasero inascoltati e per molti storici la spirale protezionistica fu uno dei fattori che, indirettamente, innescarono il secondo conflitto mondiale. Vedremo, questa volta, come andrà a finire.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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