Perché Google va alla conquista dell'Africa
Economia

Perché Google va alla conquista dell'Africa

La compagnia americana sponsorizza tablet café e progetta una rete wifi per portare su Internet un miliardo di nuovi utenti. Per sviluppare il suo business, che ormai spazia dagli smartphone ai contenuti, e aggirare gli operatori telefonici

La notizia è apparentemente minima: Google apre a Dakar il primo tablet café del mondo. Che poi non è proprio esatto che sia il primo, perché già ci sono molti bar, anche in Italia, che mettono le “tavolette” a disposizione dei clienti. Ma qui c’è di mezzo il colosso di Mountain View e siamo nella Medina della capitale della Repubblica del Senegal, Africa Occidentale. I gestori di Equinox, si chiama così il café, hanno aderito con entusiasmo al progetto perché, sostituendo i vecchi pc, si riducono i consumi di energia. Ma di certo non è ecologica la motivazione che ha spinto Google a sponsorizzare una bottegae per giunta così lontano dalla California. La piccola notizia proveniente dal Senegal si illumina di altri significati se si dà ascolto alle voci che arrivano dagli Stati Uniti, amplificate dal Wall Street Journal.

Google sta valutando la creazione di una rete wireless per connettere a Internet un miliardo di nuovi utenti che vivono nei Paesi emergenti, soprattutto dell’area dell’Africa Sub-Sahariana e del Sud Est Asiatico. Il progetto prevede collaborazioni con le compagnie telefoniche locali ed è già cominciato il pressing sulle autorità di regolamentazione, in Sud Africa e in Kenia ad esempio, per creare le condizioni favorevoli anche se non sarà trascurata alcuna via: frequenze televisive, piattaforme di alta quota, satellite.

Google ha già lanciato una sua rete wifi in alcune zone degli Stati Uniti e non sorprende più di tanto che adesso pensi ad esportare la copertura. Per almeno tre ragioni:

1) Tutti i prodotti di Google hanno bisogno di una cosa, la Rete, che c’è in abbondanza negli Stati Uniti (78,6% di penetrazione) ma non ancora in altre parti del mondo. In Africa appena il 15,6% della popolazione va online secondo Internet Worlds State (dato al giugno 2012). Lo spazio e le opportunità di crescita e di business sono quindi enormi se cresce il popolo della Rete.  

2) Con la creazione di una propriarete Google aggirerebbe gli operatori telefonici che non vedono di buon occhio la compagnia americana visto che fa affari utilizzando, a gratis di fatto, le reti che loro hanno creato e gestiscono. Diciamo che i rapporti non sono sereni e per Google poter fare a meno delle tlc sarebbe un bel colpo

3) Accompagnare in Rete quella parte del mondo che ancora non c’è (circa la metà) significa aumentare la quantità di informazioni che si riescono a raccogliere sugli utenti e quindi poter personalizzare sempre di più i servizi e controllare nuovi mercati potenziali. 

Insomma, Google sta lavorando per diventare una vera multinazionale globale digitale. Inutile gridare al Grande Fratello. Nel business vince chi fa la prima mossa e sa dove vuole andare a parare. Gli Stati e i Governi possono (e devono) fissare le regole, i concorrenti potrebbero quando meno provare a copiare il modello e afferrare una fetta di torta. Google sta mettendo insieme i pezzi per essere il custode dell’accesso al web: produce gli smartphone con Motorola, ha il suo sistema operativo (Android), presto lancerà il computer indossabile con i Glass, ha i suoi canali di distribuzione (video con You Tube, informazione con il motore di ricerca, musica e libri con Google Play). Deve solo perfezionare il lato infrastrutturale, quella rete che porterà sempre più clienti nelle sue piattaforme. E dove sono i nuovi clienti in abbondanza? Nei Paesi emergenti, anche se ancora non conoscono la ricchezza diffusa. Ecco perché Google sta investendo su nuovi microprocessori e su smartphone low cost (spiazzando Apple e i suoi prodotti troppo costosi). Ma anche su un piccolo café di Dakar, dove ci saranno centinaia di giovani che saranno accompagnati su Internet da un amico americano che non li abbandonerà mai più.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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