Fondi sovrani: quel tesoro da 5mila miliardi di cui non possiamo fare a meno
Economia

Fondi sovrani: quel tesoro da 5mila miliardi di cui non possiamo fare a meno

Per l'economista Bernardo Bortolotti, il loro patrimonio raddoppierà nell'arco dei prossimi 5 anni e potrà sostenere le privatizzazioni italiane

Raccogliere 15-20 miliardi di euro all'anno per ridurre il debito pubblico e riportarlo al di sotto del 100% del Pil. E' l'obiettivo del governo annunciato dal neo-ministro dell'Economia, Vittorio Grilli , da attuare attraverso un imponente piano di privatizzazioni del patrimonio statale, che comprende gli immobili e le partecipazioni azionarie del Tesoro.

Si tratta di un piano ambizioso che, per essere realizzato, ha bisogno però di un punto di partenza: riuscire a trovare i compratori, disposti a metter mano al portafoglio per acquistare  i “gioielli di famiglia” dello stato italiano.

Tra tutti i candidati potenziali, in pole position ci sono senza dubbio i fondi sovrani, cioè quei particolari veicoli d'investimento a partecipazione pubblica, direttamente controllati dai governi di alcune nazioni emergenti, dalla Cina fino paesi arabi come Abu Dhabi e il Qatar , passando per Hong Kong e Singapore.

“E difficile che un paese come l'Italia possa fare a meno del loro contributo per mettere in atto un piano di privatizzazioni su larga scala”, dice Bernardo Bortolotti , professore di economia all'Università di Torino e direttore del Sovereign Investment Lab, il centro di ricerca della  Bocconi dedicato proprio allo studio dei fondi sovrani.

Perché dice così, professore?

Semplicemente perché oggi i fondi sovrani sono gli unici soggetti che dispongono delle risorse necessarie a comprare pezzi dello stato in fase di privatizzazione.

Quante risorse hanno?

Più di 5mila miliardi di euro, corrispondente al 10% del patrimonio finanziario in gestione sui mercati internazionali.

Hanno ancora una quota di minoranza...

Sì, ma le loro risorse  stanno crescendo a ritmi impetuosi. Tra 5 anni, il patrimonio dei fondi sovrani sarà probabilmente raddoppiato rispetto a oggi e raggiungerà una quota del 20% degli asset finanziari disponibili a livello mondiale.

I soldi bisogna chiederli a loro, insomma. Ma non ci sono alternative?

Credo proprio di no, almeno se si vuole fare un piano di privatizzazioni ad ampio raggio. Chiudere le porte a questa categoria di investitori sarebbe davvero una strategia miope. Certo, possiamo pretendere dai fondi sovrani  anche delle contropartite.

Per esempio?

Una maggiore apertura dei loro paesi alle aziende del made in Italy o un coinvolgimento nelle acquisizioni anche di fondi di private equity nazionali ed europei.

Non c'è il rischio di una colonizzazione dell'economia italiana?

Per adesso, io non la vedo. Secondo le nostre analisi, in Italia i fondi sovrani  hanno messo in cantiere sinora circa 30 operazioni. Tuttavia, se si esclude l'ingresso in Finmeccanica dei libici, nel 2011 non ci sono state acquisizioni particolarmente importanti.

Eppure, uno studio della Consob sembra sostenere il contrario...

Credo che quello studio, almeno per come è stato riportato sui giornali, rischi di generare un eccesso di allarmismo.

Perché?

Innanzitutto, perché non è vero che l'Italia sia un paese particolarmente appetibile per i fondi sovrani, fatta eccezione per alcune aziende con un marchio molto noto e affermato a livello globale, quale Valentino. Nel nostro paese ci sono molte società a piccola e piccolissima capitalizzazione, che hanno ben poca visibilità di fronte ai grandi investitori internazionali. Inoltre, spesso si fa molta confusione sulla reale identità dei fondi sovrani.

In che senso?

Secondo la definizione dell'Fmi, un fondo sovrano è un soggetto di diretta proprietà statale, cioè di un governo o di un'autorità pubblica sub-nazionale. Spesso, però, vengono inclusi in questa categoria di investitori anche entità ben diverse, come le agenzie o le imprese di proprietà pubblica o create dalle autorità monetarie di qualche paese.

Ma quali sono i fondi sovrani che hanno maggiori risorse  possono essere interessati alle privatizzazioni di un paese occidentale come l'Italia?

Sicuramente quelli dell'area del Golfo Persico come l'Abu Dhabi Investment Authority degli Emirati Arabi o l'Investment Authority del Kuwait. Inoltre, la recente acquisizione di Valentino ha portato alla ribalta il Qatar: un paese piccolo ma che  che oggi ha grandi potenzialità. Non a caso, è stato definito un pigmeo dal pugno da gigante.

E i cinesi?

Non credo che possano giocare un ruolo importante. Sono un po' dei giganti dai piedi d'argilla: in America, per esempio, hanno fatto molti investimenti sbagliati, entrando nel settore bancario in occasione della grande crisi finanziaria internazionale. Hanno ottenuto un viatico per mettere piede negli Stati Uniti ma non hanno fatto grandi affari.

E in Italia, cosa c'è di appetibile per i fondi sovrani?

Di sicuro, non il patrimonio immobiliare pubblico. Sulla possibile privatizzazione del mattone di stato stanno circolando cifre esagerate e troppo ottimistiche, che rischiano anche di mettere a repentaglio la credibilità del nostro paese. Discorso, diverso, invece, per le partecipazioni azionarie del Tesoro.

Ci sono prede appetibili tra le aziende di stato?

La più interessante di tutti è senza dubbio Snam, un'azienda che ha dei flussi di cassa e una redditività interessanti. Vedo invece maggiori problemi per una società come Fincantieri, che ha un business più vulnerabile.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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