Fisco: il tassametro della famiglia italiana
Economia

Fisco: il tassametro della famiglia italiana

Quasi ogni nostra azione quotidiana comporta un contributo allo Stato: dal pieno di benzina fino alle cure mediche, siamo inseguiti da imposte, accise, addizionali nascoste. I Dainese le hanno contate tutte. Risultato: un extra da 6 mila euro.

Nicola Dainese è funzionario di banca, guadagna 2.800 euro netti circa al mese, la moglie ha lasciato il lavoro per seguire le due figlie, una iscritta alla scuola elementare, l’altra alle medie. A fine 2012, il reddito lordo della famiglia padovana superava i 44 mila euro. Ma bisogna ancora pagare l’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, che al netto delle detrazioni ammonta a 12 mila euro.

Mano al portafogli e cuore in pace? Magari. Quella del fisco con il cittadino contribuente non è soltanto una battaglia di posizione, tradizionale, in campo aperto, che si chiude col trattato di pace sotto forma di dichiarazione dei redditi. No, dal giorno dopo l’armistizio lo Stato italiano combatte l’altra guerra, quella nascosta, fatta di trappole e balzelli disseminati ovunque. Basta soltanto aprire gli occhi, rigirarsi nel letto e accendere la luce per iniziare a pagare gabelle.

La cosa si ripete in ogni piccolo e ignaro gesto della vita quotidiana, anche dei figli. E alla fine del giro lo Stato infila le mani nelle tasche dei cittadini e porta via molti più soldi di quello che sembra.

Basta analizzare il caso della famiglia Dainese di Padova, che ha accettato di mettere sotto la lente di Panorama tutte le sue spese. Suona la sveglia al mattino, si accende la lampadina sul comodino: prima gabella, dentro la bolletta annuale di 750 euro per l’energia elettrica circa 231 se ne vanno tra iva e addizionale regionale. Quasi un terzo. Intanto è già partito il riscaldamento condominiale: le due voci insieme fanno altre 400 euro di iva in 12 mesi. Nicola, Isabella e le figlie Anna e Chiara si siedono in cucina per la colazione. Il fornello scalda il latte e brucia 125 euro di iva e addizionale regionale. La stessa sostanza è sciolta nella tazza, nell’acqua che scorre dal rubinetto, e sbriciolata dentro ogni singolo biscotto.

Bene, è ora di andare. Ognuno nella sua macchina, Nicola verso il lavoro, Isabella accompagna le figlie a scuola. L’assicurazione è obbligatoria: su 856 euro, 107 sono di imposte. Altre 450 euro di bollo, tassa pura. Poi c’è il carburante, e qui lo Stato fa la voce grossa: 2.200 euro di spesa in un anno di cui quasi 1.500 tra iva e accise. L’iva, imposta sul valore aggiunto, le bambine la studieranno alle scuole superiori. Intanto è già in classe con loro, sopra i banchi, nascosta dentro libri e quaderni.

Anna e Chiara non hanno un telefono cellulare, per una scelta precisa dei genitori di natura educativa e non economica. Ma la famiglia fa il suo dovere anche qui: 110 euro di iva e tasse di concessione governativa su un totale bollette di 280 euro. Le stesse tasse che si pagano con l’abbonamento internet, per fare una ricerca sul web o spedire una email alle amiche dal computer di casa. Dove un colpo di tosse suscita terrore, perché ogni volta che si paga una prestazione medica o si ingoia una aspirina tra gli ingredienti, oltre al principio attivo, c’è l’iva e l’imposta regionale.

In tutto, tra Imu, bolli auto e imposte varie, fanno 18 mila euro l’anno, nel caso dei Dainese di Padova. Il 50 per cento in più rispetto a quanto pagato con la dichiarazione dei redditi. Un macigno che trasforma quella che dovrebbe essere una famiglia di classe sociale ed economica medio-alta in un nucleo che si arrabatta, taglia tutte le microspese superflue per arrivare alla fine del mese. La fotografia scattata dagli ultimi dati Istat conferma le conclusioni della nostra «case history»: il potere d’acquisto delle famiglie è calato del 4,8 per cento nell’arco del 2012.

Nicola Dainese ha 44 anni. È entrato in banca nel 1989, con uno stipendio di 1 milione 700 mila lire. All’epoca, tanti soldi. Sommati a quelli che guadagnava la moglie, che faceva la programmatrice di computer, garantivano un alto tenore di vita. Nicola prende un’Audi fiammante, la moglie l’utilitaria, insieme comprano casa accendendo un mutuo. Le aspettative per il futuro sono ottime. In estate si va tre settimane al mare in vacanza, e in inverno 10 giorni sulla neve in Alto Adige. Poi arriva Chiara, il 4 maggio 2000, in anticipo rispetto al bonus di 1.000 euro per il primo figlio previsto quell’anno, ma che parte da ottobre. Anna nasce il 4 maggio, stesso giorno, parto naturale, del 2003. La madre Isabella passa al part-time, poi lascia il lavoro per dedicarsi alle bambine. Nel parcheggio sotto casa, col tempo, al posto dell’Audi appare una Passat station wagon di seconda mano. Sparisce la vacanza invernale, quella estiva si riduce a due settimane e non più in albergo, ma in bungalow dentro un campeggio. Si tagliano tutti i costi possibili, dalla tariffa elettrica bioraria alla spesa fatta solo al giovedì nella fila centrale del supermercato. Oltre al piccolo gruppo di acquisto solidale per la scorta di olio e arance siciliane una volta l’anno. Chiara faceva danza classica, dove solo un saggio costava 200 euro. A malincuore i genitori l’hanno aiutata a scoprire la sua naturale e innata vocazione per la più economica ginnastica ritmica.

Anche perché, nel frattempo, dalla busta paga di Nicola sono sparite tutte quelle voci non fisse, come il premio di produzione, che in passato facevano la differenza. Perché in guerra, il più debole, o batte in ritirata o muore.

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Carmelo Abbate