Fisco, accordo Italia-Svizzera: le 5 ragioni per cui può funzionare
Imagoeconomica
Economia

Fisco, accordo Italia-Svizzera: le 5 ragioni per cui può funzionare

Per la prima volta Berna accetta di fornire i dati sui reali titolari dei conti correnti, una procedura che diventerà presto automatica

Dopo gli annunci degli anni passati più volte sbandierati senza reali effetti, questa volta sembra davvero che tra Svizzera e Italia cadrà il leggendario segreto bancario. I governi di Berna e Roma hanno infatti siglato un accordo, che dovrà essere ora ratificato dai rispettivi Parlamenti, che renderà decisamente trasparenti le procedure bancarie riguardanti i clienti italiani, spingendo questi ultimi inevitabilmente verso la voluntary disclosure, ossia la dichiarazione volontaria al nostro fisco dell’entità dei propri capitali detenuti presso banche elvetiche. Una misura che, secondo le più rosee previsioni, potrebbe portare nelle casse dello Stato nuovo gettito fiscale per circa 6,5 miliardi di euro. Questa sarebbe infatti l’ultima occasione per eventuali evasori per mettersi in regola pagando tutto il dovuto all’erario, senza incorrere in sanzioni di tipo penale. Ma per capire perché stavolta l’accordo potrebbe davvero funzionare, abbiamo interpellato Alessandro Cotto, esperto fiscalista, amministratore delegato del Centro studi Eutekne.info, che ci ha indicato una serie di ragioni che rendono solide le premesse di questo nuovo accordo fiscale tra Svizzera e Italia.

1 - Titolari effettivi dei conti

Grazie alla nuova intesa, firmata dal nostro ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan e dal capo del dipartimento federale delle Finanze della Confederazione elvetica, Eveline Widmer-Schlumpf, verrà a cadere il famoso paradosso della cuoca di Briatore. “L’accordo – spiega Cotto – prevede che le banche svizzere comunichino le generalità dell’effettivo titolare del conto, e non, come accadeva in passato, di un suo possibile intestatario fittizio. Questa novità renderà la procedura molto seria, e questo per espressa volontà delle autorità politiche elvetiche”.

2 - Procedura automatica

La solidità e l’efficacia dell’accordo si possono rilevare anche dal fatto che, se per il momento le informazioni verranno fornite su richiesta dell’amministrazione fiscale italiana, in futuro la procedura assumerà tutt’altro tipo di forma. “Nel giro di qualche anno infatti – sottolinea Cotto – si arriverà ad uno scambio automatico di dati. Questo significa che non appena un cittadino italiano aprirà un conto in Svizzera, automaticamente il suo nominativo verrà fornito alle autorità fiscali italiane”.

3 - Effetto Usa

La solerzia con cui la Svizzera ha finalmente accettato una collaborazione fiscale che da anni e anni l’Italia chiedeva senza successo, si deve anche alle forti pressioni esercitate, in tema di rientro dei capitali, da parte degli Stati Uniti. “Non c’è dubbio – spiega infatti Cotto – che Washington ha avuto un peso decisivo nel fare cambiare atteggiamento a Berna in tema di voluntary disclosure. Una pressione di cui evidentemente adesso beneficia indirettamente anche l’Italia”.

4 - Come un orologio svizzero

C’è da credere poi che, una volta firmato un accordo e stabilite delle regole, gli svizzeri, da par loro, saranno molto ligi nel rispettare gli impegni presi. “Se ci sono delle norme concordate e firmate – fa notare Cotto – le autorità elvetiche di certo le rispetteranno con fermezza. Non a caso si dice: precisi come un orologio svizzero. Quindi, state pur certi che i dati sui conti elvetici arriveranno con puntualità al fisco italiano”.

5 - Consapevolezza

“Raccogliendo gli umori di tanti commercialisti e fiscalisti – dice Cotto – si ha anche la netta impressione che tutti i cittadini italiani che detengono capitali in Svizzera siano ben consci che ormai non si può più scappare dalla voluntary disclosure. Anche perché a spingere in questa direzione sono le stesse banche svizzere che vogliono la massima trasparenza rispetto al fisco italiano”. Una volta resi noti i conti, i soggetti in questione pagheranno le imposte dovute che, come detto, potrebbero generare un tesoretto di circa 6,5 miliardi di euro. Anche se c’è da precisare che le modalità saranno diverse. “Chi ha detenuto per anni e anni soldi in Svizzera senza fare speculazioni, ma semplicemente per ragioni di sicurezza, - spiega Cotto - potrebbe infatti essere tassato anche al 10%, mentre per i veri e propri evasori si potrebbe arrivare a tassazioni anche del 60-70-80%”. Detto ciò, un discorso a parte riguarderà invece il rientro effettivo dei capitali, perché una volta denunciati, i contribuenti, per ragioni proprie, potrebbero comunque decidere di continuare a tenere il denaro in terra elvetica. Dunque, sbilanciarsi su questo fronte appare rischioso. Staremo a vedere.     

I più letti

avatar-icon

Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

Read More