Fiat, cosa rischiano adesso i dipendenti, da Mirafiori a Pomigliano, sino a Melfi e Cassino
Economia

Fiat, cosa rischiano adesso i dipendenti, da Mirafiori a Pomigliano, sino a Melfi e Cassino

I possibili scenari negli stabilimenti, se il progetto Fabbrica Italia diventa carta straccia.

Un mix di rabbia e preoccupazione. E' lo stato d'animo con cui i dipendenti del gruppo Fiat, a cominciare dagli operai dello stabilimento di Pomigliano D'Arco (Napoli), stanno vivendo il confronto a distanza tra le parti sociali (il governo, i sindacati e la stessa Fiat) dopo che la proprietà della casa automobilistica torinese ha fatto sapere di voler mandare in soffitta il progetto Fabbrica Italia , cioè il piano industriale da cui doveva ripartire nel 2010 il rilancio del gruppo.

POMIGLIANO IN TENSIONE.

“Marchionne ha preso in giro tutti” hanno dichiarato alcuni cassintegrati di Pomigliano, che ora temono anche per le sorti dell'accordo con la giapponese Mazda: un'alleanza che consentirà all'azienda nipponica di produrre una propria vettura a Pomigliano, ridando fiato allo stabilimento. Nella fabbrica campana, fra poco ripartiranno due settimane di Cig (cassa integrazione guadagni), che si vanno ad aggiungere ad altre due settimane, già realizzate nel mese di agosto.

DAL LINGOTTO A MELFI.

A dire il vero, non sono soltanto gli operai di Pomigliano a rischiare il posto. Anzi, nello stabilimento in provincia di Napoli si produce una delle vetture che oggi danno meno problemi alla Fiat. E' la Nuova Panda che, negli ultimi 8 mesi, ha fatto segnare un aumento delle immatricolazioni di quasi 1.900 unità, in un mercato automobilistico che sta vivendo invece una nuova Caporetto (in Europa, le vendite sono crollate del 20%, durante i primi 8 mesi del 2012). A essere preoccupati, sono infatti gli addetti di un po' tutti gli stabilimenti Fiat presenti sul territorio nazionale, da quelli torinesi di Mirafiori fino a Melfi (in provincia di Potenza), passando per Cassino (Frosinone). Si tratta di un esercito di circa 25mila persone alle quali vanno aggiunti gli addetti dell'indotto, cioè delle aziende che lavorano prevalentemente per il gruppo guidato da Sergio Marchionne.

SE FABBRICA ITALIA VA IN SOFFITTA.

Per capire le ricadute occupazionali dello stop al progetto Fabbrica Italia bisognerebbe conoscere prima che cosa ha in mente di preciso Marchionne. Sta di fatto, però, che gli ambiziosi piani di sviluppo del 2010 si sono ormai trasformati in un libro dei sogni. Il progetto prevedeva infatti un massiccio investimento di 20 miliardi di euro soltanto in Italia, per arrivare a produrre, in tutta la Penisola,  almeno 1,4 milioni di autoentro il 2014 (circa il doppio rispetto a oggi, grazie al lancio di 34 nuovi modelli nel mondo e alla ristrutturazione di altre 17 vetture della gamma). Il che, com'è ovvio, avrebbe comportato la fine della stagione dei licenziamenti e della cassa integrazione, almeno nella maggior parte delle fabbriche Fiat.

Dunque, poiché tutti questi obiettivi saltano, adesso si teme seriamente che qualche unità produttiva (persino quelle un tempo inattaccabili di Mirafiori e Pomigliano) faccia la fine dello stabilimento di Termini Imerese, la cui chiusura (nel novembre del 2011) è stata inevitabile e ha rappresentato uno dei punti di partenza del progetto Fabbrica Italia. Ora, per esempio, si parla della chiusura di almeno uno stabilimento italiano su 5 poiché alla Fiat, con l'aria che tira sul mercato, ne basterebbero in realtà soltanto 4.

LA “BEFFA” DI SERGIO MARCHIONNE

GLI STABILIMENTI A RISCHIO.

A rischiare una emergenza-occupazione o un escalation della Cig ci sono (oltre a Pomigliano e Mirafiori) anche le fabbriche di Melfi e Cassino e quelle della controllata Sevel (la joint venture italo-francese creata da Fiat con Citroen Peugeot). Per Melfi, nel 2010 Marchionne aveva messo in programma un aumento della produzione di ben 400mila vetture in 4 anni. Oggi, però, la realtà è bene diversa. Nella fabbrica lucana, dove lavorano 5.500 dipendenti, si produce infatti la Punto: un modello che, nei primi 8 mesi del  2012, ha subito un crollo delle immatricolazioni (da oltre 87mila dell'anno precedente, si è passati a poco meno di 58mila).

Una situazione simile si vive anche a Cassino, dove Marchionne aveva in progetto di quadruplicare la produzione. I modelli prodotti in questa fabbrica (Fiat Bravo e Alfa Giulietta) che ha  4.500 dipendenti, non stanno però brillando: nel 2012, hanno registrato infatti un calo complessivo delle immatricolazioni di oltre 12mila unità. Non va meglio la situazione negli stabilimenti di Torino che hanno nel complesso circa 5mila addetti. Lì sta per cessare la produzione della Lancia Musa mentre resterà quella dell'Alfa Mito, un modello che in futuro dovrebbe saturare la produzione di Mirafiori, sperando che il mercato internazionale dia nuovi segni di vitalità e non continui con il trend negativo degli ultimi mesi.

Adesso, il futuro del gruppo Fiat è dunque legato a doppio filo al prossimo piano industriale del gruppo, che dovrebbe essere presentato il 30 ottobre. Il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni e quello della Uil, Luigi Angeletti , i due leader sindacali che avevano dato credito al progetto Fabbrica Italia, chiedono però a Marchionne di dare risposte chiare molto prima, cioè subito, senza se e senza ma.

LA PREOCCUPAZIONE NEGLI STABILIMENTI FIAT

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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