Oltre Venezia 2013: il cinema, business in crisi
Economia

Oltre Venezia 2013: il cinema, business in crisi

A battere cassa sono produttori, società di distribuzione ed esercenti

Ombre sul cinema. Soprattutto italiano. Mentre il 7 settembre si chiude un'edizione che, ad oggi, appare piuttosto sottotono del Festival del Cinema di Venezia , nel frattempo dal mercato giungono cattive notizie.

Dai produttori (piccole e grandi major come dimostrano le polemiche seguite al flop Disney di The Lone Rangerfermo ad agosto a 90 milioni di incassi rispetto ai 250 spesi), dalle società di distribuzione e dagli esercenti (entro fine anno tutte le sale dovranno essere digitalizzate per l’addio alla pellicola. Oggi lo sono solo il 57%).

Sempre più spesso i grandi schermi in città chiudono i battenti per lasciare il posto a banche e supermercati. Recenti dati pubblicati da Immobiliare.it sono preoccupanti: in vendita online si trovano annunci persino di sale storiche come l'ex Cinema Maestoso (chiuso peraltro da anni), a non più di un chilometro dal Duomo di Milano e a un prezzo più che dimezzato rispetto alle previsioni iniziali. Il rischio sempre più evidente è l'estinzione delle sale in città. Rendono poco e cambiando, quando è possibile, la destinazione d’uso si possono ricavare redditi ben più interessanti di quelli derivanti da un cinema.

ll problema è trovare nuove strade redditizie per proseguire a fare business nel settore. "Io sono ottimista e fiducioso. Tra gennaio e agosto i biglietti staccati hanno messo a segno un +5% anche se il fatturato è rimasto stabile a causa delle minori uscite in sala di film in 3D i cui biglietti, si sa, costano mediamente di più di un film in 2D” ci spiega Lionello Cerri, presidente di Anec (Associazione nazionale esercenti cinematografici).

Il cinema italiano insomma cerca ancora una riscossa dopo il tracollo del 2012 (quando, secondo i dati Cinetel, che monitora un campione pari al 90% del mercato, sono stati venduti 10 milioni di biglietti in meno per 608 milioni di incassi: -8%). Ma la recessione si fa sentire, la pirateria incombe e il web ha comunque cambiato le regole del gioco. Tra spettatori che latitano e investimenti nelle produzioni in continuo calo, l’intera industria rischia il collasso. C'è chi come The Space Cinema, catena di multisala che fa capo per il 51% alla 21 investimenti di Alessandro Benetton e per il 49% a Mediaset, da tempo sperimenta nuove offerte di prodotto: dall'Opera e dai concerti sul grande schermo, alle sale vip, a una serie articolata di sconti fino allo sbarco nella distribuzione per l’Italia di alcuni piccoli gioielli, come è stato per “Due agenti molto speciali” di David Charhon con Omar Sy.  Ma si tratta di singole iniziative lasciate alla buona volontà dei diversi protagonisti del mercato.

Il Decreto Legge "Valore Cultura " approvato il 2 agosto, con il rifinanziamento del tax credit per il settore, è riuscito per ora a mettere una toppa, ma per ridare slancio all'industria del cinema serve ben altro. L’Agis infatti, intervenendo sul tema, dopo aver espresso la sua soddisfazione per le misure comunque di emergenza contenute nella normativa, ha tuttavia sottolineato l'urgenza di un reintegro del fondo unico per lo spettacolo almeno ai livelli del 2012 e la necessità del riconoscimento della centralità delle sale (cinematografiche e teatrali), come luoghi di offerta culturale e di aggregazione. “In Francia c’è un sistema cinema che investe in cultura 800 milioni di euro. In Italia occorre incrementare gli investimenti e coinvolgere i privati in progetti cinematografici. Il tax credit e il product placement (ovvero la possibilità di inserire prodotti o brand all'interno di una pellicola a scopo pubblicitario, ndr) possono essere un inizio” sostiene Cerri.

Portano all'investitore un indubbio ritorno di immagine rivolgendosi a un pubblico via via più vasto su un arco temporale piuttosto lungo (dal grande schermo al passaggio del film sulla tv generalista ci vogliono in genere 2 anni). Per quanto riguarda l’erario italiano, secondo un ricerca Anica/Luis ogni euro di agevolazione fiscale utilizzata ha generato un gettito fiscale di 1,5 euro. Nel 2012 si è trattato, come spiega Anica, di “87 milioni di euro di agevolazioni fiscali utilizzati dai 79 film italiani che nel 2012 (su complessivi 166 per cui sono stati complessivamente investiti 337 milioni ndr) hanno usufruito della normativa per il tax credit”. Ma non è ancora abbastanza: nel 2012 infatti la quota del “made in Italy” è scesa dal 48 al 34% mentre la presenza di pellicole a stelle e strisce è aumentata al 58% dal precedente 34%.

A soffrire, complice anche la crisi, non sono solo gli incassi in sala, ma anche i ricavi generati nell'indotto. I dati più aggiornati del rapporto Cineconomy, Fondazione ente dello Spettacolo, risalgono al 2010 (l'ultimo anno per cui sono specificate le diverse fonti di introiti). Ma dei trend emergono ben chiari: il botteghino langue, l’home video è letteralmente sparito in poco meno di cinque anni, il video on demand non riesce a supplire al tramonto delle videocassette, i ricavi della pay tv (Mediaset Premium e Sky) sono sostanzialmente stabili da anni a causa della recessione e quelli derivanti dallo sfruttamento delle pellicole sulle televisioni gratuite soffrono a causa del crollo verticale della raccolta pubblicitaria a cui si è assistito negli ultimi anni. In mancanza di dati dettagliati più recenti, per farsi un’idea dell’andamento dell’indotto del grande schermo basta confrontare i due dati relativi agli incassi da sala: 608,9 milioni nel 2012 (dati Cinetel) e 773 milioni nel 2010.

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Cinzia Meoni