Federal Reserve, perché non ha alzato i tassi d'interesse (per ora)
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Economia

Federal Reserve, perché non ha alzato i tassi d'interesse (per ora)

Ieri la banca centrale americana ha lasciato invariato il costo del denaro e forse lo aumenterà a dicembre. Ma non sarà una decisione facile

Tutto come da copione. Oggi la Federal Reserve (Fed), la banca centrale statunitense, ha lasciato invariato tra lo 0 e lo 0,25% il costo del denaro in America. "I tassi d'interesse sono al momento su livelli appropriati", ha detto la n.1 della Fed, Janet Yellen, rispettando le previsioni della viglia. Tuttavia, Yellen ha detto che il costo del denaro potrebbe essere ritoccato all'insù già a dicembre e non agli inizi del 2016, come invece prevedevano sino a oggi molti operatori dei mercati.



Perché la Fed lascia i tassi di interesse invariati


Che i tassi d'Oltreoceano debbano risalire, dopo essere rimasti a zero per troppo tempo, sono tutti d'accordo. I mercati azionari e obbligazionari sono infatti pieni di liquidità e sono reduci da un ciclo pluriennale di rialzi, che fa temere ancora il rischio di una bolla speculativa. Meglio dunque mettere fine all'era del denaro troppo facile, per evitare che si ripetano in futuro crolli repentini delle borse, come quelli visti in passato. Contemporaneamente, però, la Fed si deve oggi barcamenare in uno scenario macroeconomico e in un contesto internazionale tutt'altro che facili da gestire.


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Mentre in America c'è una spinta al rialzo dei tassi, dall'altra parte dell'Atlantico la Banca Centrale Europea (Bce) si trova infatti in una situazione simmetricamente opposta. Il presidente Mario Draghi si dice pronto a intensificare le sue iniezioni di liquidità attraverso il quantitative easing visto che, nel Vecchio Continente, l'inflazione resta bassa e l'economia non brilla particolarmente, nonostante sia in ripresa. Di fronte a una Bce che fa una politica monetaria espansiva, un rialzo dei tassi da parte della Fed potrebbe dunque trasformarsi in un vero e proprio “regalo” degli Stati Uniti all'Eurozona, giacché provocherebbe una rivalutazione del dollaro (oggi ne abbiamo avuto un assaggio) e ridarebbe fiato all'export del Vecchio Continente sul suolo americano, sfavorendo al contempo il pil degli Usa.


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Si tratta di una prospettiva che la Fed purtroppo non può permettersi di affrontare a cuore leggero. L'economia degli Stati Uniti, infatti, nel prossimo anno potrebbe andare peggio del previsto: la banca d'affari Goldlman Sachs, per esempio, nel mese scorso ha abbassato da 2,8 al 2,4% le stime di crescita per il 2016, prevedendo anche un calo degli utili societari d'Oltreoceano, complice il rallentamento della Cina. Già nel terzo trimestre del 2015, secondo gli esperti di molte case d'investimento, la locomotiva americana potrebbe aver viaggiato a ritmi assai deludenti, con una crescita del pil di appena l'1-1,7%. Non si tratta dunque di uno scenario particolarmente favorevole per alzare i tassi d'interesse. Prima, ha fatto intendere la Yellen, bisogna valutare se sono raggiungibili gli obiettivi di avere negli Stati Uniti la piena occupazione e l'inflazione al 2%.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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