Evasione di sopravvivenza, un buco da 40 miliardi
Economia

Evasione di sopravvivenza, un buco da 40 miliardi

L'esercito del sommerso conta 3 milioni di lavoratori, tra extracomunitari e 850mila dipendenti che svolgono un secondo lavoro in nero per arrivare alla fine del mese

C'è evasione ed evasione. Per dirla assieme al viceministro Stefano Fassina (Pd), una cosa è l'evasione di sopravvivenza: vi ricorrono molti lavoratori autonomi per resistere a una pressione fiscale che brucia oltre la metà delle loro entrate.

Un'altra è l'evasione prodotta dall'economia criminale delle mafie o quella parassitaria di molte società di capitali, che fanno sparire montagne di soldi nei paradisi fiscali attraverso un complesso intreccio di società fantasma. 

Nel calderone delle statistiche, però, finisce tutto assieme: l'artigiano che fa un po' di nero per poter mandare avanti la baracca, il professionista che emette una fattura ogni dieci clienti, le società farlocche che chiudono nel giro di 5 anni per evitare gli accertamenti fiscali o quelle che "puliscono" i soldi della mafia.

Tutte queste attività illecite, secondo l'ufficio studi di Confcommercio, varrebbero assieme il 17,4% del Pil, sottraendo ogni anno al pagamento delle imposte 272 miliardi.

Ma appunto questa cifra ci dice troppo, o forse troppo poco. Per capire, invece, quale sia la dimensione reale di ciò a cui si riferiva Fassina, bisogna rifarsi a un altro studio pubblicato lo scorso febbraio e curato dal Centro Studi e Ricerche Sociologiche "Antonella Di Benedetto" di Krls Network of Business Ethics per conto dell'Associazione Contribuenti Italiani (qui l'originale).

A differenza delle stime di Confcommercio, infatti, lo studio in questione considera le cinque macro - aree dell'evasione fiscale italiana: l'economia sommersa, l'economia criminale, l'evasione delle società di capitali, l'evasione delle big company e quella dei lavoratori autonomi e piccole imprese.

Seguendo la distinzione "morale" all'interno del girone degli evasori fatta dal viceministro, di queste cinque ne dovremmo prendere in considerazione soltanto due: quella del sommerso e quella dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese.

La prima è composta da un esercito di circa 3 milioni lavoratori in nero, molti dei quali cinesi o extracomunitari. Di questi 850 mila sono lavoratori dipendenti che fanno il secondo o addirittura il terzo lavoro in nero per arrivare alla fine del mese.

Tutti assieme produrrebbero un'evasione d'imposta pari a 34,2 miliardi di euro su un totale di 182 miliardi calcolato nel 2012, che porta il nostro Paese al primo posto in Europa.

A questi 34,2 miliardi, poi, andrebbero aggiunti circa 8,2 miliardi evasi ogni anno dai lavoratori autonomi e delle piccole imprese per la mancata emissione di scontrini, di ricevute e di fatture fiscali.

In totale, fa poco più 42 miliardi di euro, pari a circa la metà di quanto evaso dal giro d'affari non contabilizzato prodotto dalle mafie (78,2 miliardi), straniere comprese, una cifra di poco inferiore al buco di oltre 38 miliardi provocato nel 2012 dalle cosiddette big company, che hanno abusato del tranfer pricing per spostare costi e ricavi verso le controllate estere residenti in paesi con una tassazione più agevolata.

I numeri, a conti fatti, fanno impressione: se recuperati, anche solo in parte, alleggerirebbero il carico fiscale agli italiani. Tuttavia, le stime sul sommerso sono da prendere con le pinze: la materia è sfuggente per sua natura. E lo dimostrerebbe, tra l'altro, lo scarto di 90 miliardi tra il dato totale dell'evasione fornito da Confcommercio e quello dell'Associazione dei contribuenti italiani.

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Massimo Morici

Scrivo su ADVISOR (mensile della consulenza finanziaria), AdvisorOnline.it e Panorama.it. Ho collaborato con il settimanale Panorama Economy (pmi e management) e con l'agenzia di informazione statunitense Platts Oilgram (Gas & Power).

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