Evasione fiscale: Vade retro fisco
Economia

Evasione fiscale: Vade retro fisco

Il pil cala, le entrate aumentano e il 2013 promette di essere l’anno della grande offensiva contro l’evasione. Con il rischio di fare qualche vittima anche fra gli onesti

Si chiama redditest e viene quasi voglia di chiederlo in farmacia, perché l’ultima trovata dell’Agenzia delle entrate nella lotta all’evasione fiscale è assimilabile a un’analisi del sangue per scoprire se siamo fiscopositivi. Prima di entrare nel vortice del redditometro, che invece è la penultima trovata nella lotta all’evasione, l’agenzia guidata da Attilio Befera consiglia infatti di avviare un’analisi (non del sangue, ma del reddito) per conoscere gli aspetti più profondi di noi stessi. Così l’evasore, autosmascheratosi, non avrà più il coraggio di perseverare e in un sussulto di senso civico, o più probabilmente di paura, dichiarerà finalmente tutti i suoi redditi, fino all’ultimo euro.

Insomma, anno nuovo vita vecchia, con il ripetersi dei proclami di lotta senza quartiere all’economia sommersa e alle attività in nero, che secondo varie stime (per quanto sia difficile stimare l’illegalità) oscillerebbe tra 250 e 300 miliardi di euro all’anno. Nel frattempo si abbassa sempre più la soglia della ricchezza, visto che con 100-150 mila euro annui di reddito si entra di diritto nel cerchio magico dei supertartassabili, dei pagatori di ultima istanza, dei contributori estremi chiamati a raccolta per salvare i conti pubblici. D’altra parte è anche vero che solo l’1 per cento degli italiani dichiara di guadagnare più di 5 mila euro al mese. Mentre, giusto per avere un riscontro europeo, una famiglia svizzera con due figli è considerata povera se ha un reddito di 4 mila franchi al mese (3.300 euro).

Ogni anno è quello decisivo, si diceva, almeno stando agli annunci. Salvo poi scoprire che ancora non basta. E così si danno ulteriori poteri all’Agenzia delle entrate, che a sua volta escogita nuovi strumenti di indagine. E i risultati? Ci sono, certo, ma è altrettanto certo che si potrebbe fare di meglio. L’anno scorso, per esempio, gli uomini di Befera hanno portato nelle casse dell’erario 12 miliardi di euro scovati nelle tasche dei furbetti. È tanto? È poco? È la tessa cifra che è stata recuperata dall’omologa agenzia francese, dove però l’economia in nero è stimata all’8-10 per cento del pil, quindi meno della metà di quella italiana.

A parità di efficienza, insomma, in Italia bisognerebbe rastrellare almeno 25-30 miliardi all’anno, una cifra che inizierebbe davvero a cambiare il quadro macroeconomico del Paese, consentendo di alleggerire le tasse a chi le paga davvero. Per non parlare dei contenziosi che nella metà dei casi si risolvono a favore del cittadino, evidenziando quindi come un’enorme porzione dell’attività ispettiva sia sprecata.

Il governo di Mario Monti, appena insediato, aveva subito fatto capire che avrebbe fatto della lotta all’evasione la sua priorità. Già il 6 dicembre scorso, quindi al lavoro da poche settimane, aveva varato il decreto per limitare l’uso del contante. Poi è stato un crescendo, fra spesometri, redditometri, anagrafe dei conti correnti bancari, trattative internazionali. Una politica che lo stesso premier ha sintetizzato in una frase secca: «Siamo in uno stato di guerra». A cui Befera ha fatto eco, riconoscente: «Monti ha dotato le strutture che operano contro l’evasione di ulteriori e incisivi strumenti. Noi gliene siamo grati».

Tutto questo corrisponde ovviamente a un’escalation degli oneri a cui è sottoposto il contribuente e che rendono sempre più trasparente ogni sua attività, anche privatissima, promettendo di fare del 2013 l’anno della «grande offensiva fiscale»: qualcosa che i cittadini italiani non hanno mai visto e forse neppure ritenuto possibile in oltre 60 anni di vita repubblicana.

Il più invasivo e potenzialmente efficace di questi strumenti è senza dubbio l’obbligo di comunicazione dei movimenti dei conti correnti da parte degli intermediari finanziari. La norma, introdotta a fine 2011 con il decreto salva Italia, è in vigore dall’inizio del 2012, ma ha avuto qualche ritardo per i problemi sollevati dal garante della privacy. Questione di giorni o al massimo di settimane: giusto il tempo necessario a farla funzionare entro l’inizio del 2013. Significa che alla fine del prossimo anno l’amministrazione saprà quanto denaro è stato movimentato, sia in entrata che in uscita, su ogni singolo conto, né più né meno dei rispettivi titolari. In parole povere è la fine del segreto bancario in Italia. La speranza, espressa un po’ da tutti, è che di questo potentissimo strumento l’Agenzia delle entrate faccia un uso discreto e prudente, evitando di sparare a raffica minacce di accertamento com’è accaduto in passato.

Molto si è detto e si continuerà a dire anche sul redditometro, o nuovo accertamento sintetico. La norma che lo istituisce è stata approvata nel 2010, ma neppure questo è ancora operativo. Il tempo trascorso è stato impiegato per una lunga sperimentazione con le associazioni di categoria che dovrebbe essere prossima a conclusione. Befera ha annunciato per la prima decade di novembre il rilascio del redditest, ossia la cartina di tornasole che dovrebbe dirci se siamo in regola o no con il redditometro e a cui quest’ultimo seguirà probabilmente a ruota. Il nuovo strumento conterrà 100 voci di spesa appartenenti a sette categorie (abitazione, mezzi di trasporto, assicurazioni e contributi, istruzione, tempo libero, investimenti immobiliari e mobiliari, altre spese significative) sulla base delle quali calcolare la veridicità del reddito dichiarato. Giurano all’Agenzia delle entrate che non potrà dare luogo ad accertamenti veri e propri, ma solo a una selezione delle posizioni sospette da verificare poi con un faccia a faccia fra contribuente e amministrazione.

È già in vigore lo spesometro, ossia l’obbligo per gli operatori finanziari di segnalare all’Agenzia delle entrate le spese sopra i 3.600 euro. Il termine massimo era stato stabilito in un primo momento al 31 ottobre ed è stato poi spostato alla fine dell’anno. È un altro regalo dunque del fatidico 2013, che rafforza una norma dell’escalation di cui sopra: il divieto dell’uso dei contanti per le spese superiori ai 1.000 euro, già in vigore dall’inizio dell’anno.

Un armamentario di questa portata fa sorgere inevitabilmente la domanda: e se neppure con tutti questi mezzi si riuscisse a portare a casa le decine
di miliardi delle stime sull’evasione? Ha la risposta pronta il segretario della Cgia Artigiani di Mestre, Giuseppe Bortolussi, che con il fisco ha un conto aperto da anni (il suo ultimo libro si chiama Evasori d’Italia): «Vorrebbe dire che tutto questo dispiegamento di forze sta mirando nella direzione sbagliata, e che anziché organizzare operazioni in grande stile per inseguire gli scontrini dei bar ci si dovrebbe occupare dei grandi evasori. Per esempio chiedendosi come mai il 50 per cento delle società di capitali non dichiara 1 euro di utile».

È un altro dei nodi che dovrà sciogliere la «grande offensiva » del 2013, diretta anche a chi ha fatto sparire i redditi nelle banche svizzere. Da mesi Monti e il suo ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, stanno trattando con il governo elvetico per potere avere una quota forfettaria dei depositi italiani in quel paese rinunciando a conoscere nomi e dettagli delle singole posizioni. Un po’ in affanno per la verità: mentre noi ancora discutiamo, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, ha già stretto l’accordo con Berna e si appresta a bissare con Singapore, nuovo paradiso dell’evasione europea. Anche su questo capitolo della lotta all’evasione il 2013 potrebbe segnare un cambio di passo.

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