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ANSA/LUCA ZENNARO
Economia

L’euro ha rovinato l’Italia, lo dice Bloomberg

Vent’anni di moneta unica non avrebbero portato nulla al nostro Paese. La nostra economia soffre però anche di problemi strutturali ben più profondi

Con l’inizio del 2019 l’euro compirà 20 anni, visto che esattamente il primo gennaio 1999 la moneta unica faceva il suo ingresso ufficiale sui mercati finanziari, per approdare tre anni dopo, il primo gennaio 2002, nelle tasche dei cittadini europei, italiani compresi.

Un periodo significativo di circolazione per poter fare un primo bilancio del suo avvento. E le somme, soprattutto per l’Italia, non sono per niente lusinghiere, anzi tutt’altro. A scorrere le cifre messe insieme in questi giorni da Bloomberg Economics, che ha fatto un resoconto del primo ventennio di euro, il nostro Paese ne esce infatti con le ossa rotte.

Quel che però bisognerebbe approfondire è se il nostro attuale malessere economico dipenda direttamente dall’euro, o quanto non piuttosto dal fatto che la moneta unica ha contribuito ad amplificare carenze strutturali del nostro sistema produttivo. Ma andiamo con ordine, e vediamo cosa ci dicono i numeri.

Venti anni di arretramento

Le prime evidenze, relative allo studio di Bloomberg, ci mostrano senza pietà, uno scenario devastante per il nostro Paese. Basti pensare ad esempio che tra il 1985 e il 2001 il prodotto interno lordo italiano era cresciuto di 482 miliardi di euro (+44%), mentre tra il 2002 e il 2017 la crescita è stata pari a 31 miliardi, ovvero uno striminzito + 2% in quasi vent'anni.

Altra nota molto dolente poi è quella delle esportazioni, da sempre cavallo di battaglia della nostra economia. Ebbene, sempre tra l'85 e il 2001, l’export era cresciuto in Italia del 136,3%, mentre, dall’avvento dell’euro, la crescita si è fermata a un modesto +40,9%, ossia meno di un terzo.

A questo già desolante panorama, potremmo poi ancora aggiungere il fatto che il Pil pro capite è allo stesso livello del 1999, che la disoccupazione da sei anni staziona sempre intorno all'11% e che la produzione industriale langue ancora del 22% al di sotto dei livelli massimi raggiunti nel 2007.

Produttività, tallone d’Achille

Ma un’analisi seria e ragionata non può fermarsi a queste pur eclatanti evidenze. Quel che bisognerebbe approfondire infatti è, come già accennato, quanto l’entrata in vigore dell’euro non abbia accresciuto difficoltà che erano già insite nel nostro sistema economico, e che lo rendevano già di per sé più debole rispetto ad altre economie europee.

E in questo senso, un esempio molto lampante è rappresentato dalla produttività. Quest’ultima rappresenta in maniera molto semplificata, la quantità di prodotto che ogni singolo lavoratore produce in una data unità di tempo, ad esempio in un’ora. Una produttività più alta, significa che un sistema produttivo è più efficiente, più innovativo, e dunque più concorrenziale sul mercato.

Se andiamo a scorrere le statistiche realizzate da Eurostat sui Paesi dell’Unione, scopriamo allora che questo rappresenta un vero e proprio tallone d’Achille dell’Italia. Nel periodo che va infatti dal 1999 al 2017, la produttività in Italia non solo non è cresciuta, ma è addirittura calata quasi del 5%.

Nello stesso periodo, la Francia ha visto la propria produttività crescere più del 13%, la Spagna del 12% e la Germania ha fatto un balzo in avanti anch’essa del 12%, il tutto grazie a forti riforme del mercato del lavoro, che invece in Italia sono state sempre poco incisive. Non a caso forse, questi Paesi hanno ottenuto benefici ben più consistenti dall’entrata in vigore dell’euro, come dimostra lo stesso studio di Bloomberg.

Addio svalutazione

Ma perché la moneta unica influisce così tanto nel rapporto tra produttività e sviluppo dell’economia? La spiegazione è semplice: in passato, per colmare gap di mancata evoluzione della produttività, l’Italia utilizzava lo strumento, fin troppo abusato, della svalutazione monetaria.

Una lira debole, ci permetteva comunque di essere competitivi sui mercati internazionali, nonostante la nostra produttività fosse inferiore a quella dai nostri competitor. Con l’arrivo dell’euro, il giochetto della svalutazione non è stato più possibile, e il nodo di una mancata crescita della produttività è venuto drammaticamente al pettine.

Abbiamo deciso di competere con grandi Paesi, come Germania e Francia appunto, e per farlo ora dobbiamo utilizzare gli stessi mezzi, ossia l’innovazione, gli investimenti, la ricerca. Tutte armi che in Italia da anni risultano spuntate, per colpe tanto della politica che della classe imprenditoriale.

In tutto questo scenario dunque, l’euro non ha fatto altro che mettere in evidenza questa palese arretratezza del nostro sistema produttivo. Ci sarebbe stato tutto il tempo per rimediare, e forse c’è ancora, l’importante sarebbe però non addossare tutte le colpe all’euro, il cui funzionamento andrebbe comunque magari in parte migliorato, ma cercare di individuare le debolezze strutturali della nostra economia e intervenire su di esse. A cominciare proprio dalla produttività.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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