Eni, Saipem e gli strabici del diritto
Economia

Eni, Saipem e gli strabici del diritto

Tutti i dubbi (con qualche certezza già acquisita) sul nuovo scandalo legato alle presunte mazzette versate per un affare in Algeria

Italia settantaduesima, Algeria centocinquesima. In quell'antologia del buonumore che è la "classifica mondiale dei Paesi più corrotti" secondo Transparency International, il nostro si è collocato appunto - l'anno scorso - ben 33 posti prima dell'Algeria (insomma, siamo meno corrotti noi): al primo posto per onestà la Danimarca (tutti ricchi, perché mai dovrebbero rubare?) e al 174° (e ultimo) posto la Somalia (tutti poveri, per quanto rubino).

Ebbene, è per una storia di tangenti nella centocinquesima Algeria che un nuovo uragano giudiziario si è abbattuto ieri sull'ultimo "altare della patria economica" rimasto finora incontaminato dalle folate di melma giudiziaria che periodicamente hanno ricoperto un po' tutti i gruppi industriali pubblici negli ultimi anni: l'Eni. E addirittura sul suo capo supremo, Paolo Scaroni, oggi forse il più quotato manager italiano nel mondo, visto che Marchionne batte ormai bandiera americana.

Viene da ridere amaramente, per non piangere. È ovviamente possibilissimo, purtroppo, che la Saipem abbia dovuto steccare i suoi clienti algerini con 197 o 220 milioni di euro versando meno del due per cento sul totale dell'appalto di circa 14 miliardi (ma sì, milione in più, milione in meno: sempre meglio dei 2 miliardi di tangenti ridimensionatisi a 20 milioni in 48 ore del Montepaschi); e non si può certo escludere neanche che, come sospettano i pm, Scaroni sapesse.

a detto che l'Eni, ovviamente, esclude ogni coinvolgimento e si pone a disposizione dell'autorità giudiziaria per collaborare con le indagini; e del resto, sarebbe possibile il contrario? Nella storia giudiziaria italiana, da Tangentopoli in poi, non s'è mai visto che uno di quelli (meno della metà) riconosciuti alla fine colpevoli, si sia precipitato ai piedi dei pm battendosi il petto e urlando "sì, sì, mea culpa, mea culpa"...

Chi conosce meglio Scaroni non può credere alla fondatezza di simili accuse, tanto più a carico di un manager come lui che nella trappola della corruzione "indotta" dai fattori ambientali (evocati dal simbolo di Mani Pulite, Antonio Di Pietro), c'è già passato a suo tempo, riemergendone alla grande. Eppure non si può escludere che le accuse trovino riscontri provanti e si deve - come in fondo fa per prima l'Eni - dare tempo ai pm di andare avanti.

Ma nel frattempo? Intanto che i pm verificano se le loro accuse sono fondate, che succede? Succede che divulgare questi sospetti, con l'enfasi perentoria che le fughe di notizie istruttorie sistematicamente ricevono dal sistema dei media, significa mettere il fango nel ventilatore prima di qualunque riscontro fattuale dei sospetti stessi e delle accuse dei pm, significa fare danni irreparabili senza uno straccio di prova. Significa che ieri la Saipem in Borsa ha perso il 4,6% sui sospetti; significa che in questo momento, all'estero, tra caso Augusta e caso Saipem non c'è barba di inviato d'affari italiano che riesca a trovare udienza presso i tanti decisori politici di quegli stati-canaglia (o semplicemente stati-pezzenti) dove senza essere steccati non comprano neanche un pacchetto di sigarette.

Un breve riepilogo dei fatti: Scaroni è indagato su una presunta maxi tangente da 200 milioni che Saipem avrebbe pagato per ottenere appalti in Algeria. L'ipotesi di reato gli è contestata dai pm Fabio de Paquale e Sergio Spadaro:corruzione internazionale. Per la storia, De Pasquale è lo stesso pm che nel '93 promise all'avvocato dell'ex presidente dell'Eni Gabriele Cagliari, Vittorio D'Ajello, la concessione degli arresti domiciliari, ma all'indomani di fatto la negò - partendosene per le vacanze senza avvisare; e Cagliari, appresolo, si suicidò nelle docce di San Vittore.

La guardia di Finanza ha perquisito uffici e case di Scaroni. L'ipotesi è che il manager si sia incontrato con tale Farid Noureddine Bedjaoui, amico del ministro dell'Energia algerino Chekib Khelil e titolare di una società di intermediazione di Hong Kong dove - stando alle accuse - sarebbero transitati i 200 milioni di euro serviti per corrompere politici ed autorità algerine e ottenere così un appalto per Saipem del valore di 11 miliardi di dollari. Neanche il 2% di stecche, una miseria.

In Svizzera, i grandi appalti internazionali delle multinazionali portano con sé, agli occhi del fisco, un "bonus-costi" da non giustificare in bilancio del 5% circa. Perché si sa che in molti Paesi o si ungono le ruote di chi decide o non si vende un chiodo. Sarà così anche in questo caso? Può essere. Ma anche no.

I contratti finiti sotto la lente sarebbero otto. L'Eni ha ovviamenge fatto sapere di essersi "immediatamente attivata raccomandando alla propria controllata Saipem, nel rispetto della sua autonomia in quanto società quotata, di mettere in atto tutte le più opportune azioni di verifica interna, di cooperazione con la magistratura e di discontinuità organizzative e gestionali, che hanno portato alle dimissioni e licenziamento di diversi ruoli apicali di Saipem coinvolti nelle attività oggetto di indagine. Eni ha inoltre direttamente fornito, e continuerà a fornire la massima cooperazione alla magistratura''.

Difficile aggiungere alcun commento.
Si rischia di sembrare innocentisti "pelosi" o forcaioli talebani. Il dato vero è che nella  maggioranza dei casi queste istruttorie si risolvono in gogna mediatica pura e semplice, senza esiti sostanziali. Merita ricordare - ad abundantiam - che solo nel 2011 lo Stato ha speso 46 milioni di euro di rimborso per giorni di ingiusta detenzione (230 al giorno) inflitti a carcerati che erano in realtà innocenti.

In media, ogni anno - e nonostante le leggi terribilmente dissuasive che sono state frapposte a tutela della casta togata - si svolgono in Italia 2.369 procedimenti per ingiusta detenzione. Su 144 mila cause pendenti dinanzi alla Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo, 14mila (circa il 10%) vengono dall'Italia, messa peggio di Romania (8,3), Ucraina (7,1), Serbia (5,9), Polonia (3,2). Solo Russia e Turchia hanno più casi di malagiustizia, rispettivamente con 35.350 (24,4%) e 17.150 (11,9%) ricorsi. Si calcola addirittura che in 60 anni di storia italiana gli innocenti perseguitati dalla giustizia siano stati oltre 4 milioni e mezzo.

I numeri sarebbero ancora più alti se la legge non stabilisse al massimo 24 mesi di tempo per fare ricorso contro il carcere da innocenti. Passato quel lasso, non si può più. Lo Stato ha sempre tempo, il vessato deve muoversi.
Intervenendo sul tema del Monte dei Paschi di Siena, la banca travolta dallo scandalo dei derivati che vede indagati i suoi ex vertici, mentre un Pm, dicendo di non voler dire niente ai giornalisti si limitava a definire "esplosiva" la situazione (hai detto niente!), il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per tutelare il buon nome della Banca d'Italia ha dettato: "La totale autonomia della magistratura nel condurre le indagini sul precedente management di Mps va rispettata anche evitando quella diffusione di notizie infondate che è stata questa mattina deplorata dalla stessa Procura per le sue ricadute destabilizzanti sul mercato. So quanto possano essere importanti il ruolo e l'impulso della stampa per far luce su situazioni oscure e comportamenti devianti. Sono altrettanto fermamente convinto che va salvaguardato il patrimonio di credibilità e di prestigio, anche fuori d'Italia, di storiche istituzioni pubbliche di garanzia, insieme con la riconosciuta soliditàdel nostro sistema bancario nel suo complesso".

Naturalmente il monito del Quirinale ha lasciato il tempo trovato. Adesso ci risiamo. Sei mesi fa sembrava che la Finmeccanica dovesse essere svuotata dai furgono cellulari di Regina Coeli per le ipotetiche tangenti pagate in India, ora tocca alla Saipem e all'Eni. Speriamo che si rivelino tutti innocenti. Speriamo che le grandi aziende italiane riescano a vendere all'estero, anche nei Paesi di incerta forza istituzionale, grandi quantitativi di merci e servizi. Speriamo che riescano a farlo senza pagare tangenti. E speriamo che l'asino voli.

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Sergio Luciano