L'ecovalorizzatore al profumo d'arancia
Economia

L'ecovalorizzatore al profumo d'arancia

In Sicilia il primo impianto pilota per convertire le bucce degli agrumi in energia e biogas

Non buttate le bucce d’arancia: a Catania adesso le trasformano in energia. «E sarà anche biometano, molecole da impiegare nell’industria chimica. Di certo smetteremo di parlare di rifiuti e impareremo a parlare di sottoprodotti» dice Gianni Biundo, presidente della cooperativa Empedocle, un ingegnere che vuole mettere insieme la terra e la tecnica, il sole e l’acciaio.

Il primo “ecovalorizzatore” al succo d’arancia («ma senza bruciare nulla, perché bruciare è un’operazione da primitivi» precisa Biundo) lo hanno costruito gli uomini della sua cooperativa, lo hanno immaginato i ricercatori del dipartimento d’Agraria della facoltà di Catania, lo ha fortemente desiderato la professoressa Federica Argentati, una catanese energica che dal 2011 dirige il distretto Agrumi di Sicilia. «E vi dico chiaramente che questo prototipo sarebbe dovuto nascere già con molto anticipo. È da anni che lo scarto degli agrumi, che noi chiamamo pastazzo, rappresenta il collo di bottiglia dell’intera filiera. Una risorsa veniva considerata un fardello» ricorda la Argentati che può essere considerata la madre di questo primo impianto pilota costruito nella azienda agricola sperimentale di Agraria, sulla strada Primo Sole che da Catania porta a Siracusa, una tavola di terra che qui è benedetta dall’acqua e dal vulcano.

In Sicilia non lo ha finanziato la Regione a statuto speciale che non è riuscita ad approvare neppure il programma di sviluppo rurale che vale due miliardi di finanziamenti comunitari, ma la multinazionale delle bollicine Coca Cola. Quattrocento mila euro sono arrivati dalla Coca Cola foundation che è il braccio filantropico della casa madre dal 1984: 650 milioni di dollari reinvestiti da allora fino a oggi, 143 milioni nel solo 2013 destinati in progetti di sostenibilità ambientale e ricerca. Siete venuti a supplire i ritardi della Sicilia? «Siamo venuti perché abbiamo creduto nel progetto della Argentati e di progetti sul nostro tavolo ne arrivano migliaia. In Italia stiamo portando avanti anche un lavoro di ricerca con l’università di Perugia sull’obesità. In Sicilia acquistiamo il 18 per cento del succo, e forte è il radicamento anche grazie alla Sibeg che a Catania imbottiglia le nostre bevande. L’iniziativa è partita nel 2013. Diciamo che abbiamo dato una spinta come si fa quando si insegna ad andare in bicicletta. Come ogni scomesssa anche questa deve evolvere e vivere con le proprie gambe» dice Vittorio Cino, direttore della comunicazione di Coca Cola.

Fino a oggi in Sicilia gli scarti degli agrumi li interravano come si fa con la polvere quando si mette sotto il tappeto: trattamento zero e guasti tanti. Ogni anno le aziende agricole siciliane spendono 10 milioni di euro per smaltire i rifiuti prodotti dalla filiera che va ricordato sono 340 milioni di tonnellate, in pratica il 60 per cento della produzione industriale di succo di agrumi. A Caltagirone nel 2013, la procura di Catania ha sequestrato un’intera industria, indagato diciasette persone per il reato di traffico di rifiuti e smaltimento illecito.

«Si è arrivati al paradosso di dover bonificare intere aree che in passato sono state utilizzate come invasi dove ammassare i resti della produzione» racconta Alfio Di Giorgio, proprietario della azienda agricola Badiula, un imprenditore che ha sedotto gli australiani, i francesi con le sue arance tarocco al punto da farli venire nell’incanto di casa sua, un agriturismo modello che gli stranieri gli copiano. «Era evidente che si dovesse pensare a riconvertire gli scarti. Non possiamo vivere solo di succo. In questi anni il prezzo delle arance ha oscillato dai 50 centesimi di quest’anno ai 5 centesimi di due anni fa» ricorda Di Giorgio che deve competere con la concorrenza sleale dei paesi mediterranei come Tunisia e Marocco. E insomma, rappresenta una manna dal cielo questa piattaforma con i suoi cinque serbatoi che Biundo chiama con la precisione dell’uomo scientifico “biodigestori”, cinque pentoloni dove le bucce d’arancia («ma anche gli scarti dei limoni, dell’uva e delle olive» precisa Biundo) vengono mescolati e lasciati per quaranta giorni a fermentare. E infatti i serbatoi sono cinque intelligenti apparati digerenti dove avviene un processo anaerobico. I batteri in assenza di ossigeno traformano la biomassa, in precedenza triturata, in gas e digestati che successivamente vengono convogliati attraverso degli sfiatatoi nel gasometro. Un separatore ha invece il compito di suddividere la frazione liquida da quella solida che verrà utilizzata in agricoltura come fertilizzante, nutrimento per la sostanza organica dei terreni.

E però, è nel gasometro che si nasconde il segreto come nella chiave di Isabelle si celava il mistero dell’automa nel film Hugo Cabret. Il gasometro è simile a una bocca gonfia d’aria che sbuffa e alimenta il cogeneratore. «Ed è il cogeneratore a produrre energia e calore» dice Biundo a cui si accendono gli occhi da meridionale che pensa veloce. Oggi questo impianto può produrre 500 metri cubi di biogas che tradotto significa 1 Mw di energia elettrica e che ancora equivale al consumo energetico di 333 abitazioni.

In futuro ne dovrebbero sorgere almeno 20 di questi impianti in tutta la regione. «Questo è solo un prototipo adesso studieremo la migliore ricetta per combinare le biomasse e ottenere il miglior risultato energetico» dice il professore Biagio Pecorino del dipartimento di Agraria dell’ateneo di Catania convinto che un «sottoprodotto è solo un prodotto riposto nel luogo sbagliato». A Roma il sottosegretario all’agricoltura, Giuseppe Castiglione dell’Ncd, che di questo angolo di paese porta i geni e ne ha interpretato il disagio, è riuscito a strappare a Matteo Renzi la delega per la promozione e l’incentivazione dei biocarburanti. E anche Castiglione riconosce la lentezza della Sicilia, l’ingiustificabile distanza tecnologica: «Le dico che sto male ogni qual volta penso che a Cremona ci sono 133 imprese di biogas e in Sicilia neppure una». Il governo ha pronti 5,8 milioni di incentivi per valorizzare le biomasse per cui si attende un decreto. «Ma dipenderà dalla Sicilia riuscire ad attirarli. La Regione deve fare di più, a cominciare dal piano di sviluppo rurale, parliamo di due miliardi di euro che al momento sono fermi solo per la mancata approvazione del piano» avverte Castiglione. A Catania le «maledette arance che nessuno voleva» dello scrittore Elio Vittorini non sono più maledette. Qui l’arancia si è fatta elettrica.

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Carmelo Caruso