Ecommerce, sul web si compra di più
Economia

Ecommerce, sul web si compra di più

I consumi calano ma non su Internet. Ad approfittarne sono le multinazionali. Per questo i piccoli è ora che si organizzino

Consumiamo meno, ormai è confermato. Ma non su Internet, dove invece gli acquisti aumentano. Uno spazio di crescita, quello digitale, che però rischiamo di perdere. «I siti italiani non hanno le dimensioni per competere sul mercato europeo, che è quello che conta. E siamo di fronte a una prospettiva di colonizzazione», avverte Antonio Lembo, un pioniere dell’ecommerce visto che ha cominciato nel 1999 con Terashop, che oggi è un gruppo con otto siti (tra cui MrPrice ed Eplaza), di cui è amministratore delegato.

Il Centro Studi di Confindustria dice che il calo dei consumi quest’anno è il peggiore dal dopoguerra: le famiglie cedono il 3,2%, che diventa il 3,6 a livello pro-capite. Non basteranno certo le feste di fine anno a invertire la tendenza. Anzi, il calo proseguirà nel 2013 e per tornare al segno positivo, ma molto lieve, bisognerà attendere il 2014. Il commercio boccheggia e basta guardarsi attorno per rendersene conto. Tranne che sul web, dove anche quest’anno crescerà di circa il 20%, avvicinandosi a un valore di 10 miliardi. Sono ormai 12 milioni gli italiani che acquistano online, 3 in più rispetto al 2011. Cresce la domanda, cresce l’offerta ma anche il gradimento (il 90% degli utilizzatori dà un voto superiore al 7), sottolinea Netcomm, il consorzio del commercio elettronico.

Tutto bene, quindi? Non proprio. Perché quel 20% di crescita è poco superiore alla media europea e non basta a colmare il ritardo italiano, visto che partiamo da una base molto più ridotta. Il confronto internazionale è preoccupante anche se si guarda al pubblico potenziale: abbiamo la penetrazione Internet più bassa d’Europa (circa il 47% della popolazione) e anche i giovani sono meno digitali dei coetanei del continente (81% va su Internet contro il 97% della Germania). Ultima “mazzata”: solo il 15% degli italiani che navigano fa acquisti online contro il 43% della media europea, rileva l’ultimo Rapporto dell’Osservatorio del Politecnico di Milano che dal 1999 analizza l’impatto di Internet sui canali di vendita. Anche per questa ragione online si realizzano ancora meno del 3% di tutte le vendite.

Il ritardo può essere letto positivamente come un enorme spazio di sviluppo. Ma chi ne approfitterà? Basta vedere le mosse di Amazon per capire come stanno andando le cose. Il colosso americano dopo essere sbarcato in Italia nel 2011, ha aperto un centro di distribuzione in provincia di Piacenza, una sede a Milano e nel 2013 inaugurerà un customer care in Sardegna. Continua a investire senza sosta con una capacità finanziaria che pochi altri possono permettersi. In Italia nessuno, praticamente.

Di fatto sta occupando il mercato che già premia gli “stranieri”: gli italiani comprano più dai siti internazionali che da quelli nazionali, al contrario di quanto accade in Germania o in Gran Bretagna: evidentemente perché l’offerta e il livello dei servizi sono migliori o i prezzi più convenienti. Il risultato è che la nostra “bilancia commerciale” dell’ecommerce è già in negativo: compriamo all’estero circa il doppio di quello che vendiamo. «La distribuzione è ancora organizzata su base locale, e non ci si rende conto che con Internet il mercato è diventato davvero europeo», osserva Lembo. La merce circola liberamente sia quando il venditore deve rifornirsi, sia quando il consumatore acquista. «E questo comporta la necessità di stare su quel mercato, altrimenti si rischia di restarne fuori».

Il problema è che gli operatori italiani sono tanti (130 quelli che aderiscono a Netcomm) e anche i pochi “grandi” (mediamente 50milioni di fatturato) hanno dimensioni minuscole rispetto ai competitor internazionali e al campo di gioco. «Bisognerebbe valutare la possibilità di creare aggregazioni che permettano di fare quegli investimenti necessari che adesso nessuno è in grado di fare», suggerisce Lembo. «Ritengo che sia l’unica via per cogliere quella che oggettivamente è un’opportunità di crescita: è possibile farlo sono si hanno le giuste dimensioni». E visto che non ci sono, vanno rapidamente create prima che sia troppo tardi. Anche perché gli incentivi all’ecommerce che si chiedono da tempo al Governo, se arrivassero in questa situazione finirebbero per favorire i grandi operatori internazionali. E al danno si aggiungerebbe la beffa.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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