Differenze retributive, perché gli uomini guadagnano più delle donne
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Differenze retributive, perché gli uomini guadagnano più delle donne

Papa Francesco ha rilanciato il tema della diseguaglianza salariale di genere, una questione che vede l’Italia in una situazione molto critica

Le parole pronunciate oggi da Papa Francesco, che ha parlato di scandalosa “disparità di retribuzione tra uomini e donne”, rilancia il tema del cosiddetto “gender pay gap”, appunto la differenza salariale, a parità di lavoro svolto,  tra uomini  e donne. Un tema particolarmente sentito a livello comunitario, se è vero che dal 2011 la Commissione europea ha indetto una giornata dedicata appunto alla sensibilizzazione su questa delicata questione. Nell’ultima edizione, quella del 2014, Bruxelles ha pubblicato i dati più aggiornati sui divari retributivi che a livello comunitario rendono quanto mai evidente la discriminazione esistente tra uomini e donne.

Nell’Unione europea le donne in media guadagnano infatti circa il 16,4% in meno degli uomini, un dato comunque in calo rispetto al 17,5% del 2011. Questa forbice varia a seconda dei Paesi: è inferiore al 10% in Slovenia, Polonia, Lussemburgo, Romania e a Malta, sfora il 20% invece in Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania, Austria e Estonia. L’Italia rappresenta in realtà un caso molto particolare. Se si guarda infatti alle cifre nude e crude, si scopre che il nostro posizionamento è più che rispettabile: il divario retributivo di genere nel nostro Paese, riferito sempre ai dati del 2014, si fissa al 6,7%, ben al disotto dunque della media europea, e a distanze quasi siderali dalle percentuali della Germania, che fa segnare invece un preoccupante 22,4%.

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Quando però si approfondiscono meglio le questioni si scopre che tutto questo ottimismo è mal riposto. I dati europei, infatti, innanzitutto non tengono conto del basso tasso di occupazione femminile nel nostro Paese, bloccato al 46%. Inoltre, il campione delle donne lavoratrici utilizzato per le statistiche comunitarie comprende in misura relativamente maggiore donne laureate ed esclude quelle che avrebbero prospettive di remunerazione più contenute. Infine, a rendere ancora meno tranquillizzante il nostro scenario nazionale, c’è da rilevare che in Italia, accomunata in questo ad altre poche realtà come Ungheria e Portogallo, il divario anziché diminuire, come avviene a livello comunitario, cresce con il passare degli anni: era infatti al 4,9% nel 2008, è lievitato al 5,5% nel 2009, per arrivare appunto al 6,7% nel 2014.

Per quanto concerne invece le ragioni che nel tempo continuano a produrre queste significative differenze retributive tra donne e uomini, l’analisi a livello europeo ne ha fatte emergere alcune che possono essere considerate più significative. A cominciare dal fatto che donne e uomini trovano spesso lavoro in settori diversi e svolgono mansioni differenti, con la costante che i comparti a prevalenza femminile presentano in genere salari più bassi di quelli a prevalenza maschile. Nel settore sanitario, per esempio, le donne rappresentano ben l’80 % della  forza lavoro e le disparità si fanno sentire in modo significativo. Ci sono poi da considerare pratiche invalse negli ambienti di lavoro, soprattutto per l’avanzamento di carriera e le opportunità di formazione, che finiscono anch’esse per incidere sulla retribuzione delle donne. Queste ultime infatti sono spesso discriminate dai sistemi di incentivazione del personale (bonus, premi di produzione o altri incentivi monetari) o dalla composizione della busta paga, discriminazioni che si verificano spesso anche come conseguenza di fattori storici e culturali.

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Questo insieme di elementi finisce per formare il cosiddetto “soffitto di cristallo” che impedisce alle donne di raggiungere le posizioni più remunerative. Le competenze e le capacità delle donne poi sono spesso sminuite, soprattutto nei settori dove sono maggiormente rappresentate. Questa svalorizzazione incide negativamente sulla busta paga. Molto spesso infatti i lavori fisici svolti tradizionalmente dagli uomini sono  ritenuti superiori a quelli esercitati dalle donne: un magazziniere guadagnerà per esempio di più di una cassiera di supermercato.

C’è da considerare inoltre che in politica e nell’economia le donne sono scarsamente rappresentate a livello di posizioni di comando. Nel 2013 nei  consigli di amministrazione delle principali società quotate in borsa dell’Unione europea  le donne erano rappresentate solo per  il 17,8 %, mentre le amministratrici delegate non hanno superato il 4,8 %. Infine, e non certo da ultimo, le donne scelgono di solito formule di lavoro part-time per poter conciliare famiglia e vita lavorativa. Gli obblighi familiari riducono infatti in genere le possibilità di una donna di fare carriera e guadagnare di più. Il divario salariale risulta non a caso maggiore per le donne con figli o che lavorano part-time.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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