Debito pubblico, ecco perché cresce
Economia

Debito pubblico, ecco perché cresce

Il governo Monti non ha fatto nulla per  ridurre il fardello storico, dice Alberto Mingardi, direttore  dell'Istituto Bruno Leoni. E avverte: lo Stato deve cominciare a vendere

UPDATE: La notizia è di venerdì 14 dicembre. Il debito pubblico italiano a ottobre ha sfondato i 2 mila miliardi di euro posizionandosi a 2.014 miliardi, il 31,7% in più da inizio anno. Un fardello mostruoso che pesa (bambini compresi) 33.081 euro a testa, 82.192 euro a famiglia. Ma come mai il debito pubblico continua a crescere così tanto nonostante le manovre lacrime e sangue imposte dal Governo Monti nell'ultimo anno? Lo avevamo già chiesto a fine ottobre ad Alberto Mingardi, direttore dell'Istituto Bruno Leoni. Circa un mese fa eravamo a 1,98 mila miliardi e l'Eurostat avvertiva: ora si sta esagerando. Vi riproponiamo l'intervista, valida anche oggi. Per capire come mai il debito non arresta la sua crescita inesorabile e cosa serve per aiutare a tirare il freno a mano.

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Alle 12.30 di oggi il contatore del debito pubblico italiano segnava 1.980.223.049.975. Una cifra impronunciabile e continuamente in aumento, la visualizzazione semplice ma drammaticamente concreta del fardello che tutti continuiamo a portarci sulle spalle: più o meno 30 mila euro a testa, neonati compresi. Che continui ad aumentare, non è una novità: circa 10 milioni di euro l’ora. Ma adesso stiamo esagerando, ci avverte Eurostat: questo debito pesa troppo sul nostro Pil, il 126,1%.

Un record negativo, solo la Grecia è messa peggio, che ci allontana pericolosamente dagli obiettivi del patto di stabilità dell’UE che vorrebbero quel rapporto a meno della metà, il 60%.
Ma perché il debito continua a crescere? Lo abbiamo chiesto ad Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, think tank liberista che ha importato in Italia il contatore del debito pubblico mettendolo a disposizione di chiunque (si può persino scaricare come salvaschermo del proprio computer cliccando qui ).

Un inquietante promemoria, Mingardi…
Quando è stato lanciato, esattamente due anni fa, ci venne riferito che un importante esponente del governo di allora la trovava un’iniziativa ansiogena. Lo è, è proprio questo lo scopo: mostrare con la progressione continua come cresce la valanga del debito pubblico in modo molto più semplice dell’indicatore debito/pil che è più astratto

Sul Sole24ore Marco Fortis ha scritto che questo rapporto ormai è un feticcio e che non rappresenta la reale situazione del nostro Paese. Lei è d’accordo?
Io dico che dobbiamo preoccuparci di entrambi i valori di questo rapporto. Ma è difficile sostenere che sia ininfluente, il debito. Anche perché è la testimonianza palpabile della nostra storia.

In che senso?
Quando una classe politica deve finanziarie delle iniziative, può scegliere di farlo attraverso le tasse o indebitandosi. Diciamo che la nostra non ha scelto e ha seguito entrambi le strade. Il problema dello Stato è che ci sono tasse che vengono pagate dalla generazione attuale e tasse da quelle future. Quindi il debito è stato uno strumento di irresponsabilità politica, utilizzato per distribuire favori, prendere benefici e prebende e lasciare il conto ai nostri eredi.

Perché continua a crescere?
Perché fino a oggi si sono prese iniziative che hanno effetto solo sul deficit. Ma con un debito di questa mole non si può pensare di uscirne solo con l’avanzo primario. Non basta andare un po’ in attivo per qualche anno per andare a svuotare la gigantesca botte del debito. Questo è un modo di ragionare irrealistico delle classi politiche italiane. E non da oggi.

Ma il boom al 126% non è dovuto solo all’aumento del debito…
Certamente c’è un problema di crescita. Non si è fatto nulla per far crescere il pil perché è stato più facile aumentare le entrate che tagliare le uscite. E con questo consolidamento fiscale si stanno togliendo risorse all’aconomia produttiva. Ma non si è fatto nulla per tagliare il debito pubblico. Non c’è stato alcun segnale forte in questo senso.

Quale dovrebbe essere questo segnale?
Vendere importanti asset pubblici. Così facendo saremmo in grado di ridurre vistosamente (5-10%) il debito pubblico. E di innestare un circolo virtuoso dovuto alla riduzione del carico degli interessi.

Ma il debito continua ad aumentare solo per effetto degli interessi?
Diciamo che siamo come in un orologio, dove tutto è incastrato e si muove insieme. Lo sforzo per la riduzione del deficit ci porterà ad un pareggio di bilancio anticipato, dicono. Quindi dovrebbe scendere il peso degli interessi, non essendo costretti più a indebitarci. Ma una cosa è andare in pareggio con la spesa pubblica che incide al 53% sul bilancio, una cosa se è al 30%.

Non c’è speranza, quindi?
Noi spendiamo troppo, questa è la verità. Quindi o siamo costretti a indebitarci o a far pagare sempre più tasse.
 Così impoveriamo l’economia, i consumatori non comprano, gli investitori vanno altrove. È un gioco in cui tutti perdono.

E allora perché continuiamo a giocarlo? Solo per una ragione politica. La domanda che la nostra classe dirigente deve farsi è: quale Stato vogliamo? Se pensiamo che il perimetro pubblico sia intoccabile, sia per quello che riguarda le proprietà, sia per i servizi, è perché abbiamo deciso di non farcela quella domanda. Da almeno 15 anni.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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