Crisi europea: io invece dico che la Merkel ha ragione
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Economia

Crisi europea: io invece dico che la Merkel ha ragione

L’economia giapponese cresce a un ritmo annuo superiore al 3 per cento, quella americana la tallona mentre l’Europa annaspa e la locomotiva tedesca perde colpi. Nel Continente cresce così l’insofferenza verso la cancelliera, accusata con la sua austerità di bloccare la ripresa. Ma sono accuse giustificate?

Senza la Merkel l'EUro non avrebbe resistito

Nel 2009 Angela Merkel è stata eletta per la seconda volta alla guida della Germania. Rispetto al primo mandato lo scenario è radicalmente cambiato. Questa volta deve gestire la peggiore crisi economica del dopoguerra. In poco tempo, da donna «più potente del mondo», diventa la «più odiata». A lei e al suo paese vengono imputati tutti gli errori possibili: quello della miopia, per non avere capito la vera natura della crisi; quello dell’egoismo, per avere imposto l’austerità; e quello della lentezza, per avere scelto di muoversi con cautela.

E se invece Merkel avesse ragione? Se, al contrario di ciò che ritengono i suoi detrattori, la sua strategia di procedere a piccoli passi nel difficile processo di rafforzamento delle istituzioni europee, insistendo sul rigore di bilancio, fosse l’unica strada possibile per ripristinare il rapporto fiduciario tra i paesi europei che si è rotto nel momento in cui le autorità elleniche hanno dichiarato di aver truccato i conti?

La cancelliera si è trovata tra due fuochi. Da una parte decidere se, e come, salvare la Grecia, il cui default avrebbe comportato il rischio di far saltare l’euro. Dall’altra, non minare le basi politiche del proprio consenso in Germania. In effetti, la coalizione di governo è spesso stata divisa sui temi europei (svariati parlamentari della maggioranza hanno votato contro i salvataggi perché considerati una mera violazione dei trattati) e, in più di una occasione, decine di migliaia di cittadini hanno fatto ricorso alla corte costituzionale proprio contro le decisioni dell’esecutivo. A conti fatti, dopo oltre quattro anni di crisi, i risultati dell’azione politica di Angela Merkel sono tangibili. La cancelliera è riuscita a far accettare ai tedeschi il ruolo di principale finanziatore degli stati in difficoltà, mantenendo il paese coeso. Nonostante l’opposizione della Bundesbank, ha sostenuto gli strumenti di stabilizzazione monetaria messi in campo dall’Europa e dalla Banca centrale europea, e ha fatto approvare al parlamento tutti i piani di aiuti. Sul fronte greco, l’Europa ha mutato atteggiamento, meno ostile e più incoraggiante, però anche la Grecia lo ha fatto, mostrando una maggiore determinazione nel rispettare gli impegni presi. Il cambio di passo delle autorità elleniche è stato fondamentale per ricreare un rinnovato rapporto fiduciario con gli altri membri dell’unione monetaria, Germania in testa. E così la sinistra espressione «grexit» è caduta in disuso.

Certo, la crisi non è superata. Il processo di risanamento è lento, ma segnali confortanti arrivano dai paesi in difficoltà, come l’Irlanda e il Portogallo, dove la ricetta basata su rigore e riforme strutturali sta dando i suoi frutti. Grazie ai progressi compiuti l’Europa può concedere più tempo per attuare il risanamento ai governi che lo richiedono, a condizione di continuare sulla via delle riforme. In definitiva, malgrado le più fosche previsioni, la moneta unica tiene. Il merito di aver evitato il peggio va probabilmente attribuito a un concorso di fattori, tra cui il lavoro della Banca centrale europea. Ma il ruolo svolto dalla cancelliera è innegabile: senza il suo appoggio salvare l’euro non sarebbe stato possibile.

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Veronica De Romanis

Economista, autrice del libro "Il metodo Merkel"

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