Crisi e distretti: quattro idee per superarla
Economia

Crisi e distretti: quattro idee per superarla

Allarme Censis: il 75% dei distretti si è ridotto nel 2012. Ma la maggior parte delle imprese regge grazie all'export e all'innovazione. Il caso di Tesmec e Gruppo Reggiani

No, non è tutto perduto. Nonostante la crisi economica abbia travolto i distretti industriali italiani, fiori all’occhiello del made in Italy strozzati dalla stretta al credito, sono ancora in molti quelli che resistono.

I numeri dell’Osservatorio nazionale dei distretti italiani , che ha passato al setaccio 56 centri di produzione, parlano chiaro.

Su tutti una percentuale: quella del ridimensionamento aziendale che ha colpito nel quadriennio 2009 - 2012 circa il 75% delle imprese nei distretti italiani.

Quelle scomparse sono solo il 3,8% (per ora), con punte a due cifre però nel polo tessile e calzaturiero di Verona, in quello orafo di Vicenza e dell’arredo in Friuli. Del resto gli ultimi dati di Unioncamere non fanno ben sperare e mostrano come circa 1.000 imprese al giorno chiudano i battenti.

Ma le imprese non abbassano certo la guardia. E chi può cerca di ammortizzare il colpo, soprattutto quelle che hanno investito negli scorsi anni nell’export fuori dall’Eurozona (cresciuto del 5,3% nel 2012), mentre chi ha continuato a lavorare con i nostri partner europei continua a registrare vendite in calo (-1% l’export verso l’Ue).

Per il 2013 più di un terzo delle imprese appartenenti alle filiere distrettuali si attende un andamento crescente delle esportazioni (oltre la metà del fatturato nel 2012 proviene dall'estero), anche se il rapporto sottolinea "i rischi di un pericoloso cortocircuito del modello distrettuale, dal momento che la crescita delle esportazioni e l’intensificazione dei processi di internazionalizzazione sembrano produrre ricadute ancora limitate sia sul territorio, sia sulle filiere di appartenenza".

Ma quali sono i fattori sui cui puntareper superare le difficoltà?

Riposizionarsi sui mercati esteri
L’Osservatorio è partito dalla realtà produttiva, identificando cinque distretti "anti-crisi", nei quali "l’investimento forte in qualità, logistica, insieme all’adozione di nuovi sistemi di business intelligence, nuove competenze e forme originali di innovazione" hanno prodotto risultati economici molto interessanti.

Come è successo nei distretti aerospaziale pugliese, veneto della giostra, fiorentino della pelletteria e il polo della meccatronica Piemontese. All’origine del loro successo, spiega il Censis, c’è la forte propensione all’export e la capacità di dialogare con i mercati globali, controllando reti distributive proprie o almeno partecipate. Il successo? E' garantito da prodotti che uniscono estetica, artigianalità, innovazione e funzionalità.

Allungare le filiere
I distretti analizzati – si legge nel report - sono vincenti grazie a produzioni fatte su misura per i clienti, dalla progettazione alla realizzazione fino all’assistenza post vendita. Alla forte vocazione internazionale fa da contraltare, quindi, il radicamento a livello locale.

Uno dei punti di forza, spiega il report, è "la presenza sul territorio di elevate competenze lungo tutta la catena del valore": alle aziende produttrici, infatti, si affiancano piccoli e piccolissimi laboratori artigianali iper-specializzati e integrati fra di loro, che formano un sistema fondato sulla complementarità.

In altri casi, le imprese più dinamiche si sono riorganizzate in strutture più snelle mantenendo al proprio interno le fasi a maggior valore aggiunto e affidando all’esterno, nella maggior parte dei casi sempre in aree limitrofe, le fasi di trasformazione del prodotto.

Investire in competenze e managerialità
Un altro punto di forza individuato dal rapporto è rappresentato dall’investimento in formazione, per garantire il ricambio generazionale e il passaggio di quel patrimonio di conoscenze dai vecchi artigiani ai più giovani che intraprendono la stessa attività, grazie anche alla collaborazione più intensa fra aziende e centri di ricerca.

Non è un caso che questi distretti virtuosi, soprattutto quelli ad alta tecnologia, adottino comportamenti strategici in parte simili a quelli riscontrati nei distretti urbani, spiegano Censis - Unioncamere: il principale effetto di questa economia di agglomerazione urbana, infatti, è quello di disporre di capitale umano ad elevata istruzione e alti livelli di competenze tecniche e manageriali, utilizzato nelle funzioni a monte (progettazione, ricerca e sviluppo, ecc.) ma anche in quelle a valle (marketing, creazione di marchi, ecc.) del processo produttivo.

Ridefinire i rapporti con le banche
Dai dati di una delle indagini contenute nell’Osservatorio emerge che il 32% delle aziende dei distretti ha avuto difficoltà di accesso al credito nella seconda parte del 2012, mentre il 40% degli imprenditori non si attende miglioramenti nel corso del 2013.

Su quasi la metà incombe lo spettro dei mancati pagamenti: per il 47% nel 2013 ci potranno essere crediti non pagati per difficoltà o fallimenti di alcuni clienti.

Non solo: oltre l’80% delle aziende ha segnalato di avere difficoltà nel recupero dei crediti commerciali, il 60% ha problemi di formazione di liquidità, più del 40% ha attualmente rapporti problematici con le proprie banche di riferimento. Risultato? Nel lungo periodo è il "progressivo ridimensionamento della capacità di investimento dei distretti".

Un caso virtuoso
E che le tre "i" di innovazione, internazionalizzazione e integrazione, siano i fattori chiave di successo per competere al meglio nel mercato globale, oltre a costituire un’ occasione concreta per ridare impulso all’economia italiana, è emerso anche a una recente convention organizzata da un gruppo di società del settore meccanico in collaborazione con la SDA Bocconi School of Management e il patrocinio di Confindustria Lombardia.

Al centro del dibattito proprio il caso della Tesmec (soluzioni integrate per reti elettriche, dati e trasporto materiali) e del Gruppo Reggiani (macchine per il tessile) due società guidate dal presidente e a.d. Ambrogio Caccia Dominioni e che fatturano per la quasi totalità all’estero (in entrambi casi l’export rappresenta oltre il 90% del fatturato).

Così nell’annus horribilis per l’economia italiana (Pil inferiore al 2%) le due società, puntando su incentivi individuali e su un percorso formativo che stimoli l’innovazione per accrescere sia la produttività sia la flessibilità delle proprie risorse, hanno registrato il miglioramento di tutti i principali indicatori economici e finanziari, nonostante l’attuale contesto economico italiano.

Ed ecco i numeri in breve: Reggiani ha registrato nel 2012 un fatturato pari a 43 milioni di euro in crescita del 27% sul 2011 (circa la metà al di fuori dell’Europa), mentre Tesmec ha aumentato i ricavi del 7%, gli indicatori di redditività (EBIDTA +28% e EBIT +33%) con un portafoglio ordini cresciuto del 38% a fine dicembre pari a 61 milioni.

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Massimo Morici

Scrivo su ADVISOR (mensile della consulenza finanziaria), AdvisorOnline.it e Panorama.it. Ho collaborato con il settimanale Panorama Economy (pmi e management) e con l'agenzia di informazione statunitense Platts Oilgram (Gas & Power).

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