Crediti in sofferenza: perché per qualcuno sono un business
ANSA/GIUSEPPE LAMI
Economia

Crediti in sofferenza: perché per qualcuno sono un business

A fronte di banche che provano a liberarsi di poste di bilancio a rischio riscossione, ci sono società che su questi finanziamenti riescono a lucrare

“L’obiettivo è guadagnare”. È questa la spiegazione semplice, lapidaria, ma quanto mai efficace che Paolo Gualtieri, economista dell’Università Cattolica, fornisce quando gli si chiede che interesse abbiano alcune società finanziarie a rilevare i crediti in sofferenza delle banche. Un tema, è proprio il caso di dirlo, di strettissima attualità, con istituti di credito italiani che attualmente sono alle prese con finanziamenti a rischio, difficilmente esigibili, dell’ordine di qualche centinaio di miliardi di euro. Insomma, non proprio bruscolini. Eppure, come detto, c’è chi su questi crediti in sofferenza riesce a fare business.

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“Il meccanismo – spiega Gualtieri, che è ordinario di Economia degli intermediari finanziari – è abbastanza semplice: una banca ha un credito pari a 100, che può derivare da una linea di liquidità fornita a un’impresa oppure anche da un mutuo concesso a un privato cittadino. Ad un certo punto si rende conto che rientrare di questa esposizione sarà difficile, e iscrive nel proprio bilancio la posta iniziale di 100, con un nuovo valore, più realistico, pari a 50”. È a questo punto che entrano in scena le società che come attività rilevano i crediti in sofferenza. Si tratta solitamente di grandi fondi internazionali gestiti da professionisti della finanza. “La società in questione – continua Gualtieri – entra in contatto con l’istituto di credito in sofferenza e gli propone di rilevare il finanziamento a rischio a un valore, mettiamo pari a 35 o 40. Direttamente dunque la società finanziaria si cautela con un margine iniziale pari a 10 o 15. Poi ovviamente dovrà cercare di rientrare della somma, e spesso ci riesce”.

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Viene dunque spontaneo chiedersi a questo punto, perché queste società riescano là dove le banche falliscono o comunque pensano fin dall’inizio di non avere grandi margini di manovra. “Le ragioni – afferma Gualtieri – sono diverse. Innanzitutto siamo di fronte a società con una forte specializzazione. Le banche fanno diverse attività, tra le quali il recupero crediti è solo una delle tante. Le finanziarie che rilevano i crediti in sofferenza invece lavorano in maniera specifica su questo”. Per farlo ovviamente utilizzano a loro volta professionisti, come ad esempio avvocati, che sono estremamente specializzati su questi temi. “Il tutto poi – prosegue Gualtieri – avviene in tempi molto rapidi, che permettono di ammortizzare in maniera plausibile l’acquisizione di un determinato credito. Cosa che spesso non può fare la banca, che spera in tempi decisamente più lunghi di rientrare se non altro in parte del dovuto”.

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C’è poi un altro fattore quanto mai determinate che ha a che fare con la funzione stessa della banca e con i suoi rapporti con il territorio. “Gli istituti di credito – fa notare Gualtieri – spesso hanno rapporti molto stretti e di lunga data con quegli stessi interlocutori da cui dovrebbero esigere crediti arretrati, come ad esempio le imprese. Una sorta di invischiamento che non permette di agire con la decisione che ci vuole in questi casi. Da questo punto di vista invece, le società finanziarie che rilevano i crediti in sofferenza sono decisamente più libere da qualsiasi vincolo e – conclude - possono dunque agire con maggiore efficacia”.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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