Concessioni pubbliche, come potrebbero cambiare
ANSA/LUCA ZENNARO
Economia

Concessioni pubbliche, come potrebbero cambiare

Il governo vuole ricavare più soldi da chi sfrutta i beni comuni come l’etere o le risorse idriche che oggi rendono poco più di 650 milioni di euro

"Rivedremo le concessioni pubbliche a una a una e agiremo subito su chi sta approfittando del patrimonio pubblico". E' l'impegno preso dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera.

E’ tornato così d’attualità il tema delle concessioni pubbliche, finite sotto i riflettori dopo la tragedia del crollo del Ponte Morandi a Genova. In tutto il Paese, infatti, ci sono decine di migliaia di soggetti privati, piccole e grandi società che, come Autostrade per l’Italia, beneficiano di una concessione per lo sfruttamento di un bene che,  dal punto di vista giuridico, è di proprietà dello Stato. 

Dalla Tv all’ombrellone

Frequenze radiotelevisive, appezzamenti di spiaggia, bacini e giacimenti idrici o energetici: ecco alcuni esempi di beni pubblici concessi in mano ai privati a canoni spesso non molto onerosi, che fruttano alle casse dello Stato poco più di 650 milioni di euro all’anno. Sono pochi soldi soprattutto se si considera che, contemporaneamente, i concessionari incamerano ogni 12 mesi diversi miliardi di euro di ricavi, grazie al loro lavoro ma comunque sfruttando un bene che sulla carta è di tutti. 

Secondo la banca dati Patrimonio Pa , le concessioni più numerose sono quelle che riguardano lo sfruttamento delle spiagge da parte degli stabilimenti balneari. In totale sono quasi 21.400, seguite a distanza da quelle date alle compagnie telefoniche e alle emittenti televisive per diffondere via etere le loro trasmissioni o i loro servizi (2.300). Numerose anche le concessioni per lo sfruttamento delle acque termali (489) e minerali (295) mentre nel campo energetico ve ne sono principalmente di due tipi: per l’estrazione degli idrocarburi (220) e per la geotermia (95). Non vanno dimenticate inoltre le 44 concessioni date a società private per la gestione degli aeroporti. 

Tutto all’asta (o quasi)

Le autostrade sono dunque soltanto uno spaccato di un mondo ben più ampio. Ma in che modo si può far rendere di più questo grande patrimonio statale come vorrebbe fare il governo? Una soluzione è per esempio aumentare i canoni e combattere l’evasione tra i concessionari, molto diffusa in alcuni settori come quello degli stabilimenti balneari. Un’altra soluzione, prevista dalle regole europee, è che qualsiasi concessione venga messa all’asta (è il caso delle reti della telefonia cellulare che sfruttano l’etere) invece di essere assegnata e rinnovata con criteri discutibili e poco trasparenti come è stato per le autostrade. 

Il guaio è che il sistema delle aste, sollecitato da più parti per far pagare il giusto prezzo ai grandi concessionari, in certi ambiti provoca non poco scontento. Lo sa bene chi ha seguito le battaglie dei gestori degli stabilimenti balneari, che da anni cercano di evitare l’applicazione al loro settore dei principi della direttiva Bolkenstein, in base ai quali lo sfruttamento di un bene pubblico come la spiaggia dovrebbe essere messo all’asta, mentre finora le concessioni sono state prorogate nel tempo senza alcuna gara. Si tratta di una questione spinosa, che oggi rende difficile il compito di mettere un po’ di ordine nella giungla delle concessioni pubbliche. 

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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