Come Macron vuole la riforma del lavoro in Francia
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Economia

Come Macron vuole la riforma del lavoro in Francia

Più spazio alla contrattazione aziendale. Ecco il programma del neo-presidente francese così difficile da attuare (anche in Italia)

Più spazio ai contratti aziendali a scapito di quelli nazionali, nuovi ammortizzatori sociali anche per i lavoratori autonomi e un tetto alle indennità di licenziamento. Sono i punti principali della riforma del lavoro che il neo-presidente della repubblica francese, Emmanuel Macron, potrebbe mettere in cantiere nei prossimi mesi, subito dopo l'inizio del suo mandato e la nomina del nuovo primo ministro

Le misure che ha in mente l'inquilino dell'Eliseo rappresentano in sostanza il completamento della Loi Travail (detta anche Jobs Act francese), la riforma del lavoro già realizzata sotto la presidenza di Hollande, quando lo stesso Macron era ancora ministro dell'economia. Di quella riforma molto contestata, alcune parti sono state eliminate e ora il neo-presidente vuole riproporle, come previsto anche dal suo programma elettorale.

Indennità di licenziamento

La parte che farà più discutere riguarda le indennità di licenziamento, per le quali Macron vorrebbe introdurre un tetto massimo. La logica è più o meno la stessa che ha ispirato il Jobs Act italiano, cioè cercare di ridurre l'incertezza dei contenziosi di lavoro, rendendo meno costosi i licenziamenti per stimolare le aziende ad assumere con meno remore.

Ammortizzatori sociali

Uno degli obiettivi principali del neo-presidente francese è la riforma degli ammortizzatori sociali, per renderli più efficienti e inclusivi, estendendo le indennità di licenziamento anche ai lavoratori autonomi. Inoltre, Macron ha proposto in campagna elettorale maggiori controlli sui beneficiari dei sussidi. Chi incassa gli ammortizzatori sociali, infatti, in Francia è in teoria obbligato ad adoperarsi attivamente per la ricerca di un nuovo posto di lavoro. Ma il sistema è spesso inefficiente e non ci sono molti incentivi né verifiche affinché i disoccupati si diano realmente da fare per reinserirsi nel mondo del lavoro.

Contratti nazionali e contratti aziendali

Un altro dei punti-chiave della riforma dei lavoro di Macron riguarda i contratti collettivi. Il neo-presidente francese vorrebbe infatti rafforzare il ruolo degli accordi di lavoro aziendali (cioè firmati in ogni singola impresa), a scapito di quelli nazionali, siglati dai maggiori sindacati con le associazioni di categoria di ogni settore. L'obiettivo di Macron è rendere più flessibili le regole sugli orari, i turni o le ferie e le retribuzioni, senza le briglia della contrattazione nazionale.

In particolare, pur mantenendo per legge le 35 ore settimanali (una specificità tutta francese), alle aziende verrebbe consentito di siglare degli accordi che prevedono turni più lunghi, in deroga alle norme nazionali. Inoltre, c'è pure il progetto di consentire ai datori di lavoro di indire un referendum tra i dipendenti, per chiedere l'approvazione di un accordo di lavoro che ha avuto il via libera di almeno il 30% delle rappresentanze sindacali, anche se la maggioranza delle organizzazioni dei lavoratori si è opposta.

Jobs Act Francese e Jobs Act italiano

Rispetto alle riforme del lavoro realizzate in Italia dal governo Renzi, quelle proposte da Macron contenono dunque un elemento in più. Il Jobs Act italiano ha infatti modificato la disciplina dei licenziamenti e degli ammortizzatori sociali ma non ha toccato il tema della contrattazione di lavoro, nell'auspicio che sindacati e Confindustria trovassero autonomamente un accordo su questo punto. A ben guardare, già nel 2011 c'è stata un'intesa di massima tra le parti sociali (compresa la Cgil) che prevedeva il rafforzamento gli accordi collettivi aziendali, a scapito di quelli nazionali.

Il patto siglato quasi 6 anni è però rimasto sostanzialmente sulla carta e oggi il ruolo dei contratti aziendali in Italia rimane abbastanza limitato, soprattutto su certe materie come le retribuzioni. A livello di singola impresa e riguardo agli stipendi, per esempio, i sindacati e il datore di lavoro possono siglare degli accordi migliorativi rispetto ai contratti del loro settore, stabilendo dei bonus salariali e dei premi di produzione aggiuntivi, senza però scalfire mettere le basi delle retribuzioni concordate a livello nazionale.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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