Cina, per crescere servono domanda interna e produzioni di qualità
Economia

Cina, per crescere servono domanda interna e produzioni di qualità

Per l'economista Andy Xie la Repubblica popolare dovrà presto affrontare una rivoluzione...di abitudini. Per evitare la stagnazione

Chi ha pensato, e sperato, che la crisi nella Repubblica popolare non sarebbe mai arrivata è stato troppo ottimista. Quando la bomba finanziaria è scoppiata, in Cina si parlava già della necessità di modificare il modello di crescita. Perché quello che aveva garantito così tanti successi negli anni precedenti non era già più in grado di continuare ad assicurare al paese tassi di sviluppo a doppia cifra. Nel 2008 era stata presa in considerazione l'ipotesi di promuovere la delocalizzazione (nel Sudest asiatico o nella Cina dell'ovest) di tutte quelle produzioni "semplici" per realizzare le quali sarebbe stato sufficiente ingaggiare una forza lavoro poco qualificata. Facendo sì che anche le regioni dell'interno iniziassero a beneficiare dei vantaggi di una crescita strepitosa.

A patto che il governo contribuisse a costruire le infrastrutture necessarie a rendere gli investimenti nell'ovest appetibili. E lasciando alle aree orientali più vicine alla costa l'onere di trainare una sorta di seconda rivoluzione industriale cinese, a base di beni sofisticati e tecnologicamente avanzati.

E invece a un certo punto è arrivata la crisi. Le esportazioni sono crollate, i pacchetti di stimoli per l'economia hanno drasticamente ridotto le capacità del governo di finanziare le infrastrutture necessarie e la necessità di andare incontro alle richieste degli operai migranti che hanno iniziato a protestare con sempre maggiore frequenza ha convinto parecchi imprenditori a trasferire i loro impianti verso ovest. Dove i lavoratori qualificati con l'aiuto dei quali realizzare l'upgrade produttivo di cui la nazione ha bisogno non ci sono.

Per l'economista Andy Xie tutte queste trasformazioni hanno spiazzato Pechino. Che ha scelto di approvare con la massima urgenza provvedimenti capaci di tamponare la situazione. Senza risolverla. E ritrovandosi oggi di fronte a due terribili scenari, di stagnazione e rivoluzione. A meno che non trovi il coraggio di forgiare un nuovo modello di crescita, più in linea con le esigenze della Cina del Terzo Millennio.

La stagnazione sarebbe legata all'eventualità che gli effetti negativi del dissesto economico si trovino ad essere moltiplicati da una riduzione drastica degli investimenti esteri. Innescata dal timore che il governo non si sia reso conto dell'entità dei problemi della Cina e non sia pronto a intervenire con azioni mirate. E anche alla possibilità che Pechino non riesca a rinunciare a mantenere in vita imprese non redditizie continuando a fornire loro liquidità e, di conseguenza, indebitandosi. Se poi il paese inizierà a impoverirsi, l'unica conseguenza di lungo periodo non potrà che essere una rivoluzione.

La sola certezza della Cina di oggi è che il modello di crescita fondato su risorse (lavoro, terra e risorse naturali) utilizzate in maniera inefficiente ha già abbondantemente superato i limiti delle proprie capacità. Per sopravvivere, quindi, la Repubblica popolare deve necessariamente cambiarlo. Puntando su domanda interna e produzioni di qualità e tecnologicamente avanzate. Quindi mettendo in pratica le idee su cui il partito aveva già riflettuto a lungo prima di essere travolto dalla crisi.

Andy Xie è quindi, per una volta, d'accordo con i burocrati di Pechino? Non proprio, perché dal suo punto di vista l'unico modo per modificare il modello di crescita è spostare il fulcro dell'ecomomia orientale dalle Aziende di Stato a quelle private. Riducendo le tasse, permettendo anche ai privati di accedere ai finanziamenti pubblici, e aprendo tutti i settori dell'economia ai capitali stranieri. Scelte che determinerebbero un altro tipo di rivoluzione. Di abitudini, che danneggerebbe i privilegiati. Cui però il governo non potrà sottrarsi. Perché, nonostante tutto, si tratterebbe di uno sconvolgimento molto meno problematico e pericoloso di quello che la stagnazione potrebbe innescare.

I più letti

avatar-icon

Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

Read More