Cina: le cinque riforme salva-crisi
Economia

Cina: le cinque riforme salva-crisi

Stabilità, sviluppo, sanità, ambiente e welfare: sono questi i settori in cui la Repubblica popolare dovrà intervenire. Con una una strategia bilanciata e di lungo periodo

A meno di una settimana dalla chiusura del 18esimo Congresso del Partito comunista cinesel'esecutivo di Xi Jinping mantiene la parola e ricomincia a parlare di crescita, stabilità e miglioramento della qualità della vita del popolo. Il mondo intero concorda sul fatto che per innescare la molla dello sviluppo sono necessarie "le riforme". Ma pochi hanno avuto il coraggio di definire in cosa dovrebbero consistere queste agognate riforme.

Che la crescita economica cinese sia oggi seriamente compromessa non è certo una novità, come non lo è il fatto che quest'ultima rimarrà per sempre una priorità per Pechino. Del resto, la stabilità del Partito si fonda sullo sviluppo. La classe dirigente guidata dal Presidente uscente Hu Jintao ci ha provato a convincere i cinesi che il rallentamento dell'economia sarebbe stato "funzionale" al mantenimento della stabilità, perché avrebbe permesso al Partito di smettere di destinare tutte le risorse nella crescita e di concentrarsi su "esigenze di altro tipo", come sanità, ambiente e assistenza sociale.

Tuttavia, complici gli stanziamenti record per i pacchetti di stimoli all'economia post-crisi, le risorse messe a disposizione da Pechino sono state troppo poche per permettere alla popolazione di notare qualche miglioramento. E così la frustrazione e l'insofferenza nei confronti di un governo accusato di disinteressarsi del benessere dei cittadini sono esplose nelle 90mila manifestazioni che dal 2010 in poi ogni anno hanno infiammato la Cina. Proteste che, secondo i dati diffusi da Pechino, dieci anni fa non superavano le 8mila...

Dando per scontato che il problema della crescita va risolto, e anche in fretta, cerchiamo di capire, realisticamente, cosa possiamo aspettarci dalla Cina.

Le previsioni di certo non aiutano. Perché i più scettici, guidati dall'economista della Beijing Business School, Micheal Pettis, sono convinti che dopo tre decenni di crescita a un tasso medio del 9,9%, Pechino dovrà accontentarsi nella prossima decade di una misera media del 3%. Gli ottimisti, invece, continuano a non smentire che entro il 2018 la Repubblica popolare si affermerà come la prima economia mondiale.

ALLA CINA SERVE UNA STRATEGIA DI LUNGO PERIODO

Per fare un bilancio realistico della situazione, però, dobbiamo concentrarci su altri dettagli. Ricordando che la Cina ha bisogno oggi da un lato di una strategia di lungo periodo. Dall'altro di rendersi conto che inseguire a tutti i costi il sogno della crescita rapidissima potrebbe rivelarsi controproducente.

Come può fare Pechino a mantenere un livello di crescita dignitoso (che per le esigenze della Repubblica poplare si attesta sul 7/8 per cento), e allo stesso occupansodi delle nuove esigenze della popolazione? L'idea di puntare sui consumi interni non va abbandonata, ma bisognerebbe rendersi conto che questi ultimi potranno avere un'impatto significativo sull'economia solo in un'ottica di lungo periodo. E, soprattutto, solo se il governo avrà la forza di andare contro quegli interessi consolidati che fino a oggi hanno ridotto significativamente le capacità di spesa dei cinesi. Vale a dire convincendo le banche ad aumentare i tassi di interesse sui risparmi, e gli imprenditori a regolarizzare la forza lavoro con contratti che prevedono salari più alti e qualche benefit, anche sul piano assistenziale.

Per riuscirci, Pechino deve rendersi conto della necessità di offrire anche a chi uscirà penalizzato da questo aggiunstamento qualche vantaggio. Come? Facile: rilanciando l'upgrade tecnologico delle aziende nazionali, permettendo quindi loro di "sfruttare" di nuovo il know how occidentale per specializzarsi in settori ad altissimo valore aggiunto, quindi più redditizi. Spostando ad ovest tutte le attività intensive in foza lavoro, vale a dire nelle regioni in cui quest'ultima è ancora oggi abbondante e poco qualificata. Allo stesso tempo, per spingere le banche verso la trasparenza bisognerebbe spiegare loro che la rimozione dei freni alla circolazione dei capitali, se ben gestita, può diventare un vantaggio.

Ecco quindi che, se l'economia riuscirà a ripartire da sola, lo Stato non avrà più bisogno di spendere risorse per stimoli e compensazioni. E potrà iniziare a concentrarsi sul welfare. In tempo utile per evitare che le conseguenze di una popolazione che invecchia troppo in fretta e di un tasso di inquinamento che ha già creato notevoli scompensi sul piano interno (l'esempio più calzante è quello degli scandali alimentari -acqua al cloro, riso al cadmio, carne di maiale ai metalli, e tanti altri) diventino davvero ingestibili. E sperare in questo modo di rimanere ancora a lungo la seconda potenza economica mondiale.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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