Budweiser, la birra numero uno del pianeta
Economia

Budweiser, la birra numero uno del pianeta

Una campagna pubblicitaria mirata per gli emergenti e delocalizzazione degli stabilimenti produttivi hanno aiutato la "regina delle birre" a riconquistare il mondo

Budweiser come Coca-Cola? Ebbene sì: la "regina della birra", come la chiamano negli Stati Uniti, pare essere interessata a promuovere un nuovo tipo di sogno americano, da tenere ben chiuso in una bottiglia per poter essere distribuito ai quattro angoli del mondo. Partendo dalla Cina, dove il mercato delle bionde sta esplodendo e Bud cerca di approfittarne per rilanciare un marchio che negli ultimi tempi ha perso parte del suo appeal: nel 2012 ha visto il suo volume di vendite (38,7 milioni di barili) ridursi del 6,3%, a fronte di una crescita del mercato dell'1,5%. Una scommessa su cui Bud ha puntato milioni di dollari, e che non può permettersi di perdere.

Nel 2011 Bud ha inaugurato un impianto produttivo a Ziyang, nella Cina centrale, dove a dodici mesi di distanza la produzione è raddoppiata per la necessità di far fronte all'aumento della domanda interna. Proprio come la casa madre aveva previsto (e sperato).

L'investimento nella Repubblica popolare è stato fatto proprio per permettere a Bud di non lasciarsi cogliere impreparata dai nuovi bisogni che la classe media orientale potrebbe sviluppare, tra cui il desiderio di consumare birra occidentale in maniera sempre più regolare.

Dal momento che Bud non è certo l'unico marchio interessato a conquistarsi il mercato cinese, per riuscire prima e meglio degli altri è fondamentale puntare sulla pubblicità. Ecco perché sono sempre di più bar, supermercati e locali destinati all'intrattenimento a essere sponsorizzati dalla regina delle birre. E non solo in Asia.

La bionda lanciata 137 anni fa negli Stati Uniti e oggi di proprietà belga è già riuscita ad ampliare la propria quota di mercato in ben novanta paesi, ed è stato il successo inaspettato registrato in Russia, Ucraina e Brasile a convincere l'azienda a puntare di più sulla Cina. Dove le statistiche confermano che il mercato della birra dovrebbe crescere addirittura del 40% nei prossimi dieci anni.

Nella Repubblica popolare Bud ha già speso 1,4 miliardi di dollari in pubblicità e per risistemare una serie di fabbriche, ma ha già pianificato di costruirne altre nove. Nella speranza che tutto questo possa essere sufficiente per trasformarsi nella regina "globale" delle birre, nella Coca-Cola delle bionde, appunto.

Eppure sono in tanti gli analisti pronti a scommettere che Bud non riuscirà a realizzare il suo sogno. Essenzialmente perché quasi tutti i paesi del mondo producono la loro birra, e sono orgogliosi di berla. Cosa che non succede, ad esempio, per la Coca-Cola. Chi ama la birra tende a scegliere la bionda locale quando si trova all'estero, anche solo per il semplice gusto di provarla. Tuttavia, l'intenzione di Bud non è quella di mettersi in concorrenza con la produzione locale, ma di affiancarsi ad essa. Diventando ovunque la numero due, tranne negli Stati Uniti, dove vorrebbe al più presto lasciare l'attuale terzo posto per tornare in vetta. Così facendo riuscirà ad aumentare le vendite in maniera rapida ed esponenziale, ricominciando quindi ad essere la birra più venduta al mondo. E a quel punto non potrebbe non essere riconosciuta come l'unica vera regina delle bionde.

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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