Brexit
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Economia

Brexit: perché l'opzione "no-deal" è sempre più probabile

Nonostante i costi elevati dell'uscita dall'Europa, il Regno Unito è disposto a far cadere il governo pur di evitare un accordo con Bruxelles

I puristi della Brexit negano, e addirittura minacciano di far cadere il governo di Theresa May qualora decidesse di adottare una linea ancora più morbida rispetto a quella attuale, ma la situazione si fa sempre più difficile, e gli inglesi (forse) se ne stanno accorgendo. 

L'incubo del "no-deal"

Del resto parliamo di numeri, di difficoltà concrete, di previsioni realistiche, non di ipotesi non confermabili e potenzialmente prive fondamento. Quando ad agosto la possibilità che si finisse con l'uscire dall'Unione senza un accordo, la cosiddetta "no-deal Brexit", la premier ha commissionato una serie di analisi tecniche per stimare, concretamente, quali potrebbero essere le conseguenze di un no-deal in ambiti che intersecano la vita quotidiana dei suoi connazionali: passaporti e libertà di circolazione, bollette telefoniche, validità della patente e via dicendo.

Cosa succederà se non si troverà un accordo

Ebbene: tutti questi studi sono stati resi pubblici oggi e mettono l'accento su problemi che oltre ad essere difficili da gestire appesantiranno notevolmente la quotidianità degli inglesi. Anche da un punto di vista economico. Sono 11.600 i camionisti che tutti i giorni attraversano il canale della Manica per lavoro, per non parlare dei turisti. Ebbene, oltre ai documenti da mettere in regola, ci saranno presto nuovi controlli da implementare. Lo stesso vale per i passaporti, mentre per i telefoni cellulari...addio roaming, un altro bellissimo, praticissimo (e convenientissimo) regalo dell'Europa unita.

La strategia di Theresa May

Sono in tutto una trentina i rapporti tecnici che Theresa May ha commissionato. E tutti sottolineano la difficoltà di costringere la popolazione a fare passi indietro su abitudini e normative ormai interiorizzate. Possibile che il Governo lo abbia fatto apposta? Possibile che l'obiettivo di questi studi non sia tanto quello di prepararsi a gestire un'uscita difficile quanto sensibilizzare la classe politica e l'opinione pubblica per cercare di fare un passo indietro o, almeno, di permettere che venga negoziato un accordo di uscita con Bruxelles?

Una trattativa in corso

Siamo davvero davanti a un punto di svolta. Da calendario, l'uscita ufficiale verrà festeggiata (rimpianta?) il 29 marzo 2019, ma in realtà tutto si deciderà a ottobre, o al massimo a novembre, perché qualora si dovesse davvero riuscire a raggiungere un compromesso, servirà del tempo per ratificarlo e implementarlo. In caso contrario, il Regno Unito non potrà far altro che iniziare i suoi preparativi per un'uscita senza accordo.

Cosa succederà ora

Al momento gli scenari sono due: la May ha forse volontariamente giocato quest'ultima carta delle analisi tecniche sperando di convincere il paese dell'opportunità di arrivare a un accordo per evitare il caos. Ma i parlamentari più conservatori non si sono certo lasciati intimidire. Anzi, all'inizio di questa settimana una cinquantina di deputati si sono riuniti a Westminster proprio per di una eventuale rimozione della May per assicurarsi che la rottura con l'UE sia totale e definitiva. Del resto, dal loro punto di vista l'ipotesi di May di restare nel mercato unico per industria e agricoltura e continuare a garantire la libera circolazione delle persone è pura follia. Un vero e proprio tradimento della volontà popolare.

Se i conservatori riusciranno a metterla all'angolo, il no-deal Brexit è assicurato. Se no, forse sarà possibile raggiungere un accordo in extremis.

Cosa pensano gli inglesi

A dispetto di tutte le previsioni negative che sono circolate fino ad oggi, gli inglesi continuano ad essere in maggioranza a favore della Brexit. Anzi, un sondaggio reso noto proprio questa settimana conta un 53 per cento di intervistati convinti che il "no-deal Brexit" sia l'unica strada percorribile, e tra questi il 43 per cento si dichiara serena perché certa che l'uscita dall'Unione porterà vantaggi, non svantaggi, per il paese.

Dati alla mano, è molto difficile condividere questa posizione. Speriamo però che l'ex premier Gordon Brown si sbagli: nel corso di un'intervista con la BBC ha palesato le sue preoccupazioni su un'imminente (seconda) crisi finanziaria, che la Brexit potrebbe certamente accelerare. Se così fosse, anche il resto dell'Europa finirebbe col pagare un prezzo altissimo per l'uscita del Regno Unito dall'Unione.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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