Big Mac Index: le novità con Quantitative easing e petrolio
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Economia

Big Mac Index: le novità con Quantitative easing e petrolio

L'indice fotografa svalutazioni a catena in Giappone, Canada, Australia, Brasile, Russia e Ucraina

È dal 1986 che The Economist confronta le oscillazioni del prezzo del panino più famoso di McDonald's per calcolare i rapporti tra le varie valute del mondo. Come? Semplice: se uno stesso Big Mac costa 4,79 dollari in America e in Cina 2,77 dollari significa che rispetto al dollaro lo yuan è svalutato di oltre il 40%.

Immaginando che per la teoria della parità del potere d'acquisto nel lunghissimo periodo i tassi di cambio dovrebbero raggiungere un equilibrio tale da fare in modo che gli stessi beni possano essere acquistati allo stesso prezzo in qualsiasi nazione, gli analisti di The Economist sono soliti disegnare una linea al centro del loro grafico, la line of best fit, per poi usarla come punto di riferimento per capire quali monete sono sopravvalutate e quali no.

Politiche monetarie, petrolio e Big Mac

Mai come quest'anno le evoluzioni dei prezzi segnalate da The Economist mettono inevidenza gli effetti sui singoli paesi delle manovre di politica monetaria e del crollo del prezzo del petrolio. Nello specifico, il quantitative easing americano ha fatto volare il dollaro, e il semplice annuncio della Bce di voler seguire la stessa strada di Washington ha segnato l'euro in maniera altrettanto forte. Per non parlare del rimbalzo del franco svizzero, dove il costo di un Big Mac è salito in pochi giorni da 6.30 a 7.54 dollari.

Tra svalutazione e competitività

Tra i pochi paesi, oltre alla Svizzera, in cui il valore della valuta nazionale rispetto al dollaro è aumentato ci sono importatori netti come Cina e India. A dire il vero anche la corona danese appare sopravvalutata, ecco perché, spiega The Economist, la Banca Centrale di Copenhagen ha approvato proprio questa settimana un nuovo taglio dei tassi di interesse. I paesi che hanno registrato le svalutazioni peggiori, invece, sono Giappone, Russia, Brasile, Canada, ma anche Australia, Regno Unito e Norvegia. Per fortuna non tutto il male vien per nuocere, soprattutto quando a ballare sono grandi esportatori di materie prime o grandi centri manifatturieri: una moneta svalutata, infatti, aumenta la competitività delle esportazioni nazionali. E in tempi di crisi il commercio resta uno dei metodi più efficaci per rilanciare (in fretta) i mercati.

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