La Bce prepara il Quantitative easing, ma prima deve convincere Berlino
Economia

La Bce prepara il Quantitative easing, ma prima deve convincere Berlino

L’eurozona è flagellata dalla deflazione e Draghi è pronto a fare di più. La Germania resta scettica, ma la pressione sale. L’incognita delle riforme

Più l’eurozona sprofonda nella deflazione, più si avvicina il lancio del vero bazooka di Mario Draghi. Infatti, il presidente della Banca centrale europea (Bce), nel caso la situazione peggiori ancora, dovrà attivare l’acquisto di titoli di Stato, avviando così il full Quantitative easing (Qe) in stile statunitense. Il tutto nel tentativo di arginare l’emergenza, per prima cosa, e di riattivare l’economia dell’area euro, in secondo luogo.

La pressione sulla Germania, finora fortemente contraria a questa misura, è sempre maggiore. Anche perché proprio l’economia tedesca potrebbe essere danneggiata dall’attuale quadro. C’è un però: bisogna capire come conciliare un’altra espansione monetaria con l’adozione delle riforme strutturali da parte di Italia e Francia. 

Siamo pronti a fare di più per mantenere la stabilità dei prezzi

Gli ultimi dati
L’appuntamento con i dati sull’inflazione nella zona euro per dicembre era molto atteso a Francoforte. Le aspettative degli analisti finanziari vedevano una nuova flessione su base annua. E così è stato. Il tasso d’inflazione per il dicembre appena trascorso si è attestato a meno 0,2%, rispetto al dicembre del 2013. Peggio di un decimale nel confronto con le attese dei mercati.

È legittimo pensare, come ha scritto Goldman Sachs, che la Bce sia costretta ad accelerare nel lancio del full Qe. Prima però bisogna attendere due eventi: le elezioni in Grecia, previste per fine gennaio, e l’arrivo di nuovi dati, capaci di confermare l’entrata dell’area euro in deflazione. L’obiettivo di fondo, inoltre, è capire le modalità di un’azione così fuori dall’ordinario, oltre che salvaguardare il mandato della Bce, che prevede il mantenimento di un tasso d’inflazione prossimo al 2 per cento. In pratica, quali titoli di Stato acquistare e secondo quale criterio. Con ogni probabilità, si useranno come parametro le capital key della Bce, ovvero le quote di partecipazione di ogni singolo Paese membro nel capitale della banca centrale guidata da Draghi. 

Il braccio di ferro
La braccio di ferro cruciale è fra la Bce e Berlino. O meglio, la Bundesbank. Secondo la banca centrale tedesca, infatti, non c’è un immediato pericolo che l’area euro entri in uno scenario prolungato di deflazione. Anzi, come ha ricordato il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, “non bisogna parlare di deflazione, bensì di bassa inflazione”.

Dialettica a parte, l’assunzione della Germania è che nel caso la Bce lanci un programma di acquisto di titoli di Stato possano venir meno il senso di urgenza per l’adozione delle riforme strutturali dei Paesi membri, come Francia e Italia. Un concetto chiaro e condivisibile, come ha spiegato la banca tedesca Berenberg. Del resto, anche nell’Eurotower sono consapevoli che i rendimenti sul mercato obbligazionario sono stati livellati grazie alle loro azioni. Prima con gli acquisti di bond governativi tramite il Securities markets programme (Smp). Poi con il lancio dell’evoluzione, sotto condizionalità, del Smp, ovvero le Outright monetary transaction (Omt). Poi, ancora, tramite le varie operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-term refinancing operation, o Ltro, e Targeted long-term refinancing operation, o Tltro) che si sono susseguite dal dicembre 2011 a oggi.

Infine, con l’avvio del programma di acquisto di titoli corporate, quali covered bond, Asset-backed security (Abs) e Residential mortgage-backed security (Rmbs). Tutte azioni volte a rafforzare la percezione degli investitori internazionali riguardo alla credibilità dell’eurozona. Operazione riuscita, certo, ma a un prezzo forse troppo elevato. 

Non bisogna parlare di deflazione, ma di bassa inflazione

Gli squilibri esistenti
Come ha ricordato oggi Bank of America-Merrill Lynch, uno dei maggiori problemi dell’area euro è che ci sono determinate classi di asset che sono troppo sicure. Per esempio, i bond governativi, con una prevalenza per quelli tedeschi, arrivati a un tasso d’interesse negativo su alcuni punti della curva delle scadenze. Traduzione: i rendimenti di titoli di Stato non riflettono più il rischio Paese e sono diventati troppo bassi per incentivare l’apertura di una posizione da parte di un investitore internazionale. Vale a dire che il mercato è drogato già ora.

Che senso avrebbe, di conseguenza, lanciare un programma di acquisto di titoli facenti parte di questa classe?
Secondo Bank of America-Merrill Lynch, potrebbe aiutare il ribilanciamento interno del mercato dei bond governativi dell’area euro. Infatti, osservando i database di Bloomberg, si può notare che gli investitori internazionali continuano a preferire le posizioni in Bund tedeschi. Nel secondo trimestre 2014 la quota di debito pubblico tedesco circolante detenuta da esteri era pari al 61,9% del totale. Nello stesso periodo del 2008, quindi prima del collasso di Lehman Brothers, era del 49,9 per cento. Più l’eurozona entra nella stagnazione e più la Bce agisce, più i Bund tedeschi diventano il porto sicuro fra i bond governativi. Non una novità, si potrebbe obiettare, ma una tale asimmetria non ha eguali. 

L’effetto sulla Germania
Il Qe della Bce, nell’ottica di Bank of America-Merrill Lynch, sarebbe in grado di essere funzionale anche e soprattutto alla Germania. Un’assunzione controfattuale, ma verosimile. In un’area macroeconomica debole, anche Berlino rischia di veder compromessa la solidità della propria economia. Per evitare questo, affermano gli analisti della banca statunitense, la Germania dovrebbe avallare l’idea di un full Qe. Specie perché la ripresa dei partner continentali, unita al ritorno di un corretto rapporto fra rischio e Paese, potrebbe evitar a Berlino di avvicinarsi alla recessione. 

La Germania ha bisogno di un full Qe da parte della Bce

Il capitolo riforme strutturali

Tuttavia, resta da chiarire il capitolo riforme. Più la Bce agisce a protezione della moneta unica, più il costo del finanziamento del debito si abbassa, più calano gli interessi passivi sul debito, più cala il senso di urgenza. Un azzardo morale non di poco conto. Come ha spiegato Natixis, la sostenibilità del debito pubblico, aggregato e non, nell’area euro è tutto fuorché presente. Nel lungo periodo, ha fatto notare la banca transalpina, l’eurozona dovrà fare i conti con il sempre più pesante fardello dell’indebitamento. Troppi sono infatti gli squilibri esistenti sotto il capitolo della spesa, mentre troppo pochi sono gli sforzi effettuati dal 2011 a oggi per ridurre le uscite in modo strutturale. Come ha detto più volte Draghi, gli sforzi della Bce da soli non bastano. Servono anche quelli dei governi. Un monito che, soprattutto nel caso il full Qe diventi realtà, gli esecutivi nazionali dovranno ricordarsi al meglio. 

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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