Vivere in Australia, 5 miti da sfatare
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Economia

Vivere in Australia, 5 miti da sfatare

L'inglese non si impara sul posto, il working holiday visa non garantisce un lavoro stabile, nemmeno dopo il rinnovo. Entrare da turisti non conviene, e non tutti fanno fortuna

E' davvero così faciletrasferirsi in Australia, trovare in poco tempo un'ottima occupazione, cambiare vita, trovare nuovi stimoli in un mercato del lavoro dinamico e fare fortuna? In più di un'occasione abbiamo descritto questa nazione così lontana dall'Italia come un luogo quasi perfetto sotto tantissimi punti di vista: qualità del lavoro, facilità di integrazione, stimoli e opportunità professionali, salari adeguati all'impegno e alle competenze richieste e via dicendo.  

Tutto quello che abbiamo scritto fino ad oggi sull'Australia è certamente vero. Tuttavia, sarebbe il caso di puntualizzare che la maggior parte delle ragioni per cui questa nazione-continente così lontana e sconosciuta tende ad essere identificata con l'El Dorado del Terzo Millennnio dipende dal fatto che, in questa particolare fase storica, l'Italia sembra avere ben poco da offrire, soprattutto ai giovani.

Detto questo, è di fondamentale importanza evitare di arrivare in Australia con una percezione sbagliata del Paese e delle sue opportunità. Per riuscirci, bisognerebbe evitare di farsi trarre in inganno da cinque falsi miti.

1) Vado in Australia, l'inglese lo imparerò lì. No, l'inglese bisogna conoscerlo prima di arrivare. Poi lo si può perfezionare, ma la base di partenza deve già essere più che discreta altrimenti non si può pensare di poter trovare facilmente e rapidamente lavoro, qualificato o meno che sia.

2) Sono giovane, mi conviene entrare con il Working Holiday Visa , poi quando sarò sul posto cercherò di ottenere un visto più stabile. No, o meglio, non necessariamente. Il WHV è stato pensato apposta per offrire a chi lo riceve la possibilità di fare un'esperienza temporanea, tant'è che non permette nemmeno di essere impiegati dallo stesso datore di lavoro per più di sei mesi. Questa condizione ha due limiti: la maggiore facilità di essere impiegati per lavori poco qualificati anziché il contrario, e la difficoltà temporale di farsi conoscere, e apprezzare, al punto da indurre il datore di lavoro a sponsorizzare un altro tipo di visto. Attenzione però, perché esistono anche le eccezioni. E non sono neppure così infrequenti. 

3) Mal che vada, rinnoverò il WHV per un altro anno sperando di essere più fortunato. Per ottenere il rinnovo è necessario riuscire a dimostrare di aver lavorato per almeno 88 giorni nel cosiddetto "outback", quindi in aziende agricole, miniere, nel settore delle costruzioni o in quello ittico. pesca. Lavorare in questi luoghi non è sempre così facile, ne' necessariamente ben pagato. Anzi, la crescita esponenziale del numero di ragazzi che entra con WHV ha portato anche alla diffusione di tipologie di impiego sempre più precarie e difficilmente controllabili dalle autorità centrali. Nel biennio 2011-2012 solo il 20% dei giovani italiani entrati con il WHV è riuscito a rinnovarlo. 1.775 su 9.600.

4) Intanto entro con il visto turistico, poi si vedrà. Tanti dei giovani che, per motivi anagrafici, non possono richiedere un WHV la pensano così. Tuttavia, col visto turistico non si piò lavorare. Si può però cercare lavoro e magari anche organizzare qualche colloquio, ma bisogna sperare che l'eventuale datore di lavoro interessato sia poi anche disposto a sponsorizzare un visto. Cosa non così automatica. Ecco perché, piuttosto che partire all'avventura, conviene cercare di ottenere uno "skilled visa ".

5) Tanti italiani hanno fatto fortuna in Australia. Ci riuscirò anche io. Forse, ma è meglio non esagerare con le aspettative. Molti italiani finiscono col trovare lavoro solo nel settore dell'hospitality, ovvero in bar, ristoranti e piccoli esercizi a conduzione familiare. Sono precari, non sempre in regola, e a volte anche pagati poco.

Eppure, alla fine sono tanti quelli che ce la fanno. Superano la concorrenza locale, ottengono la sponsorizzazione per un visto e, tassello dopo tassello, e non senza un pizzico di fortuna, iniziano a costruire la loro vita e la loro carriera all'altro capo del mondo. E solo quando ce l'hanno fatta si guardano indietro, orgogliosi di essere riusciti a superare tanti ostacoli e momenti di difficoltà.

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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