Aston Martin, chi è il nuovo James Bond della finanza
Economia

Aston Martin, chi è il nuovo James Bond della finanza

Ha risanato Ducati, è azionista di BpM ed è un grande esperto e amante di motori. La storia di Andrea Bonomi che con il suo fondo Investindustrial ha rilevato il 37,5% della casa automobilistica

Chissà se Andrea Bonomi si sente un po’ James Bond. D’altronde, c’è forse un uomo che non l’abbia sognato almeno per un giorno? Ecco. Il 46enne Andrea Bonomi, attivo nel mondo del private equity con il suo fondo Investindustrial da 1,225 miliardi di capitale si è appena comperato la Aston Martin, la casa automobilistica britannica che produce auto sportive di lusso. Quelle di James Bond, appunto. E di tanti altri appassionati nel mondo.

Dopo le voci che si sono rincorse sul mercato, è arrivato l’annuncio ufficiale. Investindustrial, ha comperato il 37,5 per cento della proprietà. Operazione da 190 milioni di euro che consegna la società inglese all’uomo che ha risanato la Ducati e diventato il socio di riferimento della Banca Popolare di Milano con l’8,6 per cento delle azioni.

Ciuffo e vaga somiglianza con l’attore inglese Hugh Grant, nella battaglia Bpm Bonomi ha ingaggiato la sfida con un altro bello della finanza, Matteo Arpe. Un braccio di ferro tra titani della guerra (due segni zodiacali legati a Marte entrambi: Ariete il primo e Scorpione il secondo) che nell’Assemblea decisiva ha visto prevalere la rassicurante oratoria british di Bonomi, capace di convincere della possibilità di un risanamento poco traumatico.

E così è stato. È infatti notizia recente anche quella del raggiunto accordo unitario sugli esuberi della banca milanese per 70 milioni di risparmi (circa 700 tagli al personale, da accompagnare però tutti con scivoli e prepensionamenti).
Le storie di Bpm e di Ducati, risanata in sei anni più che raddoppiando il rendimento e quindi rivenduta quest’anno alla tedesca Audi per 860 milioni, in fondo già raccontano molto di quella che sarà la strategia di Bonomi in Aston Martin. La casa automobilistica dei sogni, in crisi e fiaccata dai debiti, ha bisogno di un leader lungimirante e di capitale. E Bonomi ha messo sul piatto 625 milioni in cinque anni per gli investimenti nella tecnologia e lo sviluppo. Mercedes collaborerà con la sua tecnologia. Il resto, verrà. Grazie al carattere più interessato al prodotto che non alle speculazioni finanziarie di Bonomi e alla sua passione per auto e motori.

Andrea Bonomi infatti, è lo stesso uomo che ha già acquistato la David Brown, società britannica che produce componenti per cambi anche per la stessa Aston Martin. E che con l’amico Alessandro Benetton aveva già tentato di portarsi a casa anche la Lotus, poi non più venduta. Recente è anche il tentativo, pure non andato in porto, con Alfa Romeo.

Quindi, finalmente, la Aston Martin. Che certamente non stona con la sua carica adrenalinica e sportiva del finanziere, buon pilota di aerei ed elicotteri e appassionato di corse ad ad alta velocità sui motoscafi.
Su Andrea Bonomi tutti sono d’accordo: “È più imprenditore, che finanziere”, “Lo affascina il prodotto, non la speculazione” sono le frasi più ricorrenti quando si parla di lui. E ancora. “Dei finanzieri non ha né l’arroganza, né il cinismo o la cattiveria”. Insomma, un alieno. Che preferisce risanare e rivendere le aziende più a gruppi industriali che non a quelli finanziari, anche quando il guadagno è minore.

Verità o leggenda? La storia personale di Bonomi è molto ricca di particolari. E se il dna non mente, allora forse dobbiamo credere alla leggenda dell’investitore buono. A dispetto della somiglianza con Hugh Grant, è felicemente sposato e padre di tre figli. La passione per lo sport gli deriva forse dalla madre, figlia del notissimo velista genovese Beppe Croce. E la vocazione per gli investimenti industriali è il tronco da cui si dirama il suo albero genealogico.

Sua nonna è stata infatti Anna Bonomi Bolchini, definita a suo tempo la “signora della Finanza italiana”, fondatrice di Postal Market, e cui faceva capo la holding di partecipazioni B Invest, che aveva nel paniere aziende come Mira Lanza, Rimmel, Durbans, Montedison e La Fondiaria.

La holding fu poi sfilata ai Bonomi con quella che fu la prima grande scalata della Borsa Italiana. E la storia di oggi, non è altro che una paziente ricostruzione della tradizione di famiglia. Quella dell’imprenditoria etica ed illuminata, che comprende anche lo zio Piero Bassetti, grande industriale del tessile lombardo, primo presidente della Regione Lombardia e oggi sostenitore della svolta arancione del sindaco di Milano Giuliano Pisapia.

È dalla Lombardia che Bonomi vuole ripartire per il suo progetto di industria italiana globale. Molti già lo indicano vicino al candidato “arancione” alle regionali Umberto Ambrosoli, mentre con Banca Popolare di Milano sta cercando di sostenere e compattare il sistema industriale territoriale nell’area con la percentuale più alta di Prodotto interno lordo. Un biglietto da visita sui mercati globali, gli stessi in cui Bonomi si è formato studiando in Francia, Gran Bretagna e conseguendo il Bachelor of science in business administration all’Università di New York.

Di riflesso, anche il fondo Investindustrial è composto da partner principalmente stranieri (fatta eccezione per una piccola partecipazione di Banca Intesa), siano essi investitori istituzionali o fondi pensione. È stato tra i primi ad aprire in Cina e conta sedi a Londra, negli Usa, in Spagna e in Svizzera. Il credito internazionale è evidente. Ma bisogna farlo fruttare con sapienza e tempismo. Per questo Bonomi figura anche tra gli animatori del progetto “Why not Italy?”, nato per portare nel Belpaese i più solidi investitori, partner e aziende estere.

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Antonella Bersani

Amo la buona cucina, l’amore, il mirto, la danza, Milan Kundera, Pirandello e Calvino. Attendo un nuovo rinascimento italiano e intanto leggo, viaggio e scrivo: per Panorama, per Style e la Gazzetta dello Sport. Qui ho curato una rubrica dedicata al risparmio. E se si può scrivere sulla "rosea" senza sapere nulla di calcio a zona, tennis o Formula 1, allora – mi dico – tutto si può fare. Non è un caso allora se la mia rubrica su Panorama.it si ispira proprio al "voler fare", convinta che l’agire debba sempre venire prima del dire. Siamo in tanti in Italia a pensarla così: uomini, imprenditori, artisti e lavoratori. Al suo interno parlo di economia e imprese. Di storie pronte a ricordarci che, tra una pizza e un mandolino, un poeta un santo e un navigatore e i soliti luoghi comuni, restiamo comunque il secondo Paese manifatturiero d’Europa (Sì, ovvio, dietro alla Germania). Foto di Paolo Liaci

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