Se l'Argentina fallisce, cinque cose da sapere
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Economia

Se l'Argentina fallisce, cinque cose da sapere

I rischi legati alla sentenza dei giudici statunitensi, che impongono Buenos Aires di rimborsare integralmente i vecchi Tango Bond a un gruppo di hedge fund

Trenta giorni per pagare. E' il lasso di tempo che resta a disposizione della Repubblica Argentina per saldare la prima rata del debito nei confronti di un gruppo di hedge fund americani, scaduto formalmente il 30 giugno scorso. La cifra in ballo è di ben 832 milioni di dollari, a cui si aggiungerà in futuro almeno un altro mezzo miliardo che rischia di trascinare di nuovo il governo di Buenos Aires in bancarotta, dopo il rovinoso crack finanziario che si verificò nel 2001. Come si è giunti a questa situazione ? Ecco cinque cose da sapere per capire la nuova crisi argentina e le conseguenze che può avere, anche in Italia, sul portafoglio dei risparmiatori.

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IL DEFAULT DEL 2001

Quasi 14 anni fa, per chi non lo ricordasse, il governo di Buenos Aires finì rovinosamente in fallimento e non fu in grado di rimborsare il proprio debito, che era detenuto in gran parte da stranieri (tra cui molti risparmiatori privati italiani). Fu un crack finanziario da 100 miliardi di dollari.

IL CONCORDATO E IL TAGLIO DEL DEBITO

Tra il 2005 e il 2010, qualche anno dopo la bancarotta, le autorità argentine proposero un hauircut, cioè un taglio del debito statale. L'operazione venne effettuata tramite un concordato con i creditori, che possedevano i bond emessi dal governo di Buenos Aires. L'offerta prevedeva una riduzione del valore nominale dei titoli del 70% circa. Chi ha accettato queste condizioni, ha subito una notevole perdita sul capitale investito ma è riuscito a recuperare almeno in parte i soldi investiti, che rischiavano invece di andare totalmente in fumo.

IL RIFIUTO DEI FONDI AMERICANI

Non tutti i creditori internazionali hanno aderito al concordato con l'Argentina. Tra chi si è rifiutato, per esempio, c'è un gruppo di hedge fund, cioè di fondi speculativi americani (Nml Capital, Aurelio e Blue Angel) che hanno fatto ricorso alla Corte di Giustizia americana contro le condizioni imposte dal governo di Buenos Aires.

I 50MILA CHE HAN DETTO NO

Anche 50mila investitori italiani che avevano nel portafoglio le obbligazioni argentine (Tango Bond) non hanno aderito al concordato, considerando le condizioni proposte troppo vessatorie e preferendo recuperare il capitale investito per altre strade (per esempio facendo causa alle banche che vendettero i titoli, senza informare adeguatamente i clienti dei rischi a cui andavano incontro).

LO SPETTRO-BANCAROTTA

Dopo anni di incertezze e di attesa, si è giunti all'intricata situazione di oggi. La Corte di Giustizia americana ha infatti dato ragione agli hedge fund americani, facendo pesare la cosiddetta clausola del pari passu. Si tratta di una postilla presente nei contratti dei vecchi Tango Bond emessi prima della bancarotta argentina, che impone a Buenos Aires di non fare discriminazioni tra i creditori.

Il ragionamento è più o meno questo: visto che l'Argentina ha pagato i debitori che hanno accettato l'haircut, deve pagare anche quelli che hanno rifiutato il concordato poiché la clausola del pari passu impedisce di usare due pesi e due misure. Dal canto suo, invece, il governo di Buenos Aires si rifiuta di versare le somme dovute e sostiene che la sentenza statunitense potrebbe portare nuovamente il paese in default. Se l'ordine dei giudici americani venisse eseguito, infatti, l'Argentina non dovrebbe pagare soltanto i fondi americani, che oggi pretendono una somma di circa 1,3 miliardi di dollari. Assieme a loro, in lista di attesa ci sono tutti gli altri creditori che non hanno aderito al concordato (tra cui i 50mila investitori italiani) e che vantano un'esposizione sul debito di Buenos Aires per circa 15 miliardi di dollari. Si tratta di una cifra che il governo argentino, guidato dalla presidente Cristina Fernandez de Kirchner non può permettersi di sborsare.

ARGENTINA: DUE STRADE PER I CREDITORI

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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