Almaviva, pronti 100 milioni anti crisi di liquidità
Economia

Almaviva, pronti 100 milioni anti crisi di liquidità

Intervento di Unicredit, Intesa Sanpaolo e Bnl. E a festeggiare sono tutti i fornitori

La chiusura dei rubinetti del credito è da mesi il problema numero uno per moltissime imprese italiane, ma non esattamente per tutte. Un’eccezione vistosa è di qualche giorno fa e si chiama Almaviva, azienda romana di proprietà della famiglia Tripi, leader nazionale nel settore dei call center e ai primi posti nell’informatica. Il gruppo, a quanto risulta a Panorama.it, ha appena ottenuto un finanziamento da ben 100 milioni di euro per cercar di venire a capo della mancanza di liquidità che la affligge da anni, con ricadute negative su tutta la filiera in cui opera, specialmente nell’area della Capitale.

A mettere i soldi sul tavolo è un pool di banche composto da Unicredit (storica finanziatrice di Almaviva) Intesa Sanpaolo e Bnl, che hanno preso la loro decisione al termine di una complessa trattativa durata quasi sei mesi, durante i quali hanno passato al microscopio i conti dell’intero gruppo, presente da anni anche in Brasile, dove a quanto pare se la cava piuttosto bene.

Ma è la situazione in Italia a rendere necessario il finanziamento, che dovrebbe essere accolto con un brindisi fra le aziende del settore. Diverse sono infatti entrate in sofferenza a causa dei ritardi nei pagamenti a cui Almaviva ha ormai abituato i propri fornitori. Un problema emerso in modo drammatico ad aprile, quando centinaia di lavoratori del call center di Ferrovie (con cui Almaviva ha una commessa da quasi 600 milioni di euro in sei anni) sono entrati in sciopero per il mancato pagamento dello stipendio da parte di un subfornitore, che nel frattempo ha dovuto cessare l’attività ed ha ora in corso un contenzioso legale con la stessa Almaviva.

Il tutto si intreccia in modo drammatico con i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, divenuti ormai una vera e propria piaga nazionale. Il gruppo fondato da Alberto Tripi (già presidente di Confindustria Servizi innovativi) che dal 2005 comprende anche le società informatiche dismesse da Telecom Italia, lavora infatti soprattutto per aziende controllate dallo Stato, la cui lentezza nel saldare le fatture è la ragione addotta regolarmente dai suoi vertici per spiegare le difficoltà di cassa.

Questa sembra essere anche l’opinione delle banche, convinte evidentemente che, al netto della scarsa liquidità, i contratti in mano all’azienda (oltre a quello con Fs, ce ne sono anche con Inps, Inail, Ministero dell’Agricoltura) garantiscano business e solvibilità. Nei prossimi mesi si vedrà se è davvero così.

I più letti

avatar-icon

Stefano Caviglia