Agricoltura piegata dalla siccità: un miliardo di danni
ANSA/CESARE ABBATE
Economia

Agricoltura piegata dalla siccità: un miliardo di danni

La produzione di cereali e mais registra cali tra il 50 e il 70 per cento. Aziende in ginocchio, e i prezzi si impennano

Crisi nella crisi. Ricordate gli articoli dedicati al ritorno  all’agricoltura e all’aumento dell’occupazione grazie alla corsa ai  campi in Veneto e nell’Italia tutta? Ecco, arriva la doccia fredda. Dopo l’euro che barcolla, la disoccupazione record e il calo dei  consumi è arrivata anche la siccità. L’agricoltura del Triveneto e dell’Emilia Romagna è in ginocchio, le imprese annaspano. I danni superano il miliardo e per l’industria di trasformazione si annunciano nuovi rincari delle materie prime, in particolare per i cereali.  “Non abbiamo mai visto una situazione del genere: interi campi deserti e senza raccolto” commentano la Coldiretti e la Confagricoltura emiliane. “La siccità ha distrutto soprattutto le coltivazioni di cereali, ma non se la passano bene nemmeno bietola, pomodoro e soia”.

Per far fronte all’emergenza, domani la regione Emilia Romagna ha  previsto un vertice straordinario, mentre il Veneto sta già cercando di  correre ai ripari concordando con il Ministero dell’Agricoltura  interventi in deroga al Piano nazionale di solidarietà.
Il quadro infatti è piuttosto allarmante: là dove si facevano 3.500 euro l’ettaro con il mais, oggi se ne fanno 300. Il raccolto in Veneto è calato in media tra il 50 e il 70 per cento. In Emilia lamentano danni per 500 milioni. E la domanda di un prodotto che scarseggia farà raddoppiare i prezzi all’ingrosso per poi scaricarsi sui prodotti trasformati e quindi ancora sull’utente finale, che ha già ridotto i suoi consumi all’osso.

E cosa faranno i produttori di pane, pasta o biscotti? Proveranno a compensare, ma dovranno rassegnarsi a ricavi più  bassi. Le aziende più grandi reggeranno. Le altre, forse. Taglieranno i  costi e qualche lavoratore stagionale e non, facendo avvitare la crisi su se stessa. “La siccità del Triveneto potrebbe valere un raddoppio dei prezzi alla produzione” commenta Manuel Benincasa della Coldiretti regionale veneta. “Un calcolo facile, visto che la disponibilità di silomais (silos di  granoturco) si è praticamente più che dimezzata. E tutto il resto della filiera è destinato a seguire a ruota. L’aumento dei mangimi per allevamento (mais e soia) ricadrà sull’industria di trasformazione della carne e dei prodotti lattiero-caseari, il rincaro dei cereali sui produttori di pasta e affini, e persino la produzione di birra potrebbe risentirne.

“In tutto il Veneto là dove si raccoglievano 100 chili di mais, oggi ne abbiamo una settantina. Nel padovano la produzione è dimezzata e nel Polesine il taglio è del 70 per cento: 30 chili al posto di cento”  interviene l’assessore all’agricoltura della Regione Franco Manzato. “La siccità ha colpito soprattutto il mais (calo tra il 50 e l’80 per  cento), ma anche la raccolta dei cereali sarà inferiore di un buon 40/60 per cento e non possiamo escludere anche danni alla viticoltura, che in Veneto vale 1,3 miliardi soltanto di esportazioni. Per questo stiamo studiando con il Ministero alcuni strumenti finanziari che ci permettano di intervenire in deroga al Piano di solidarietà nazionale”.

Purtroppo, anche questo è il bilancio di un’estate di fuoco, che va dalla mancanza d’acqua alla tensione dei mercati azionari, dagli incendi all’aumento delle materie prime. L’economia sa essere spietata. E considerato che nel Triveneto si contano 125 mila imprese agricole per una superficie coltivata pari a 740 mila ettari. Che l’agroindustria di trasformazione pesa nel NordEst per lo 0,8 per cento e costituisce una fetta importante sul piano nazionale (9%). E che la produzione dei cereali vale oltre 1,1 miliardi di euro (738milioni solo in Veneto), tutti ora si interrogano sulle conseguenze di un calo drastico del  fatturato.

“I prezzi alla fonte sono cresciuti, ma di certo non compensano il calo di produzione accusato dalle aziende o la maggiore spesa sostenuta dalle stesse per irrigare i campi” sottolinea Giangiacomo Bonaldi, presidente di Confagricoltura Veneto. “Ci saranno strascichi, per le imprese agricole e per tutta l’industria connessa”.
Tra il 2009 e il 2011, le imprese agricole nordestine sono già calate del 4,3 per cento. L’industria di trasformazione del settore dei cereali ha già scontato un aumento dei prezzi dell’84 per cento e subito una diminuzione del fatturato del 14,7. E l’imprevista siccità è destinata a cambiare gli scenari leggermente ottimistici sul 2012 fotografati dall’ultimo rapporto di Fondazione Nord Est, anche e soprattutto perché va a inserirsi in un contesto internazionale di grande difficoltà.

Di recente infatti, anche le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme sul possibile aumento del costo degli  alimenti a causa del rincaro delle materie prime, cereali e mais in  testa, a causa della siccità, della scarsa produzione e dell’aumento  delle domanda nei Paesi in via di sviluppo. Le ultime quotazioni alla  Borsa di Chicago hanno già registrato un 10 per cento di aumento sul  frumento (a quota 250 euro a tonnellata) e del mais (240 euro a  tonnellata) ma la corsa non sarebbe affatto finita. “Occorre prendere  atto che le condizioni climatiche sono cambiate e impostare la nostra  agricoltura su basi diverse” commenta Eugenio Zedda, responsabile  economico di Coldiretti Emilia Romagna. “Occorre accordarsi sull’uso  dell’acqua dei fiumi e, quando è il caso, stringere anche alleanze con  altre regioni”.

In gioco infatti non c’è soltanto un raccolto, ma  un’industria tra le più vitali e ad alto tasso d’esportazione. Il  NordEst ad esempio, viene da un decennio (2000-2010) in cui l’export  agricolo è raddoppiato raggiungendo 1,5 miliardi di valore, mentre  l’agroindustria è cresciuta del 79,6 per cento volando a quota 4,760  miliardi. Quasi 4 aziende su dieci nel Triveneto esportano più del 5 per  cento del loro fatturato. Ma adesso c’è poca materia prima e  quella  che c’è, costa troppo.

Senza consumi interni, vendite all’estero,  investimenti tecnici o politiche lungimiranti il Pil non può crescere. E  questo nemmeno in un settore, come l’agroalimentare, da sempre  considerato una delle ancore di salvezza dell’economia nazionale.

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Antonella Bersani

Amo la buona cucina, l’amore, il mirto, la danza, Milan Kundera, Pirandello e Calvino. Attendo un nuovo rinascimento italiano e intanto leggo, viaggio e scrivo: per Panorama, per Style e la Gazzetta dello Sport. Qui ho curato una rubrica dedicata al risparmio. E se si può scrivere sulla "rosea" senza sapere nulla di calcio a zona, tennis o Formula 1, allora – mi dico – tutto si può fare. Non è un caso allora se la mia rubrica su Panorama.it si ispira proprio al "voler fare", convinta che l’agire debba sempre venire prima del dire. Siamo in tanti in Italia a pensarla così: uomini, imprenditori, artisti e lavoratori. Al suo interno parlo di economia e imprese. Di storie pronte a ricordarci che, tra una pizza e un mandolino, un poeta un santo e un navigatore e i soliti luoghi comuni, restiamo comunque il secondo Paese manifatturiero d’Europa (Sì, ovvio, dietro alla Germania). Foto di Paolo Liaci

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