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ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Economia

I numeri truccati del contenzioso tributario

L'Agenzia delle Entrate nei suoi report parla sempre di numeri e risultati record. Ma non è così

In questi giorni l’Agenzia delle Entrate ha anticipato alcuni dei dati sui risultati della sua gestione per il 2018, come ogni anno, enfatizzando traguardi raggiunti, record infranti, e così via. Avviene ogni anno e questi dati riguardano anche il contenzioso tributario.

Il fisco snocciola dati cercando di trasmettere un messaggio: fare causa all’erario sarebbe veramente un pessimo affare. Le cose però non stanno proprio così.

L’Agenzia enfatizza il dato della riduzione del numero delle cause (il 4% in meno rispetto al 2017), e i dati dei giudizi di primo e secondo grado, che vedono un tasso di vittorie piene del fisco nel 45% delle controversie, contro il 31% e il 36% completamente a favore contribuente. In mezzo c’è un 24% in primo grado e un 19% in appello di casi in cui i giudici hanno dato ragione in parte al contribuente e in parte al fisco, e non si sa se più ai primi o più ai secondi.

Non è stato ancora diffuso il dato delle percentuali complessive di vittorie (o presunte tali) che include anche i giudizi in Cassazione e che per il 2017 veniva trionfalisticamente riportato al 73% di tutti i giudizi promossi.
Fonti dell’Agenzia ci anticipano che per il 2018 dato si attesterebbe al 72%.

Restiamo in attesa di leggere il dato ufficiale, ma quello che viene trasmesso è chiaramente un messaggio fortemente dissuasivo, perché lascia intendere che il contribuente ha meno di una probabilità su tre di spuntarla in un giudizio contro il fisco.
Dietro la retorica dei proclami, però, la realtà è ben diversa e i numeri vanno analizzati correttamente.

Intanto il fatto che nel 2018 il numero di contenziosi possa essere calato è certamente riconducibile alle varie forme di definizione agevolata adottate alla fine dell’anno (la cosiddetta pace fiscale), grazie alle quali molti contribuenti hanno potuto chiudere le loro pendenze con il fisco senza dover affrontare contenziosi e in alcuni casi, abbandonandoli.

Quindi è da escludere che la riduzione del contenzioso sia dovuta ad una percezione di un maggior grado di correttezza e di legittimità dei provvedimenti adottati dall’Agenzia.

I numeri, però ingannano anche quando si tratta di capire quante chance ha il contribuente di uscire vittorioso da un eventuale contenzioso con il fisco.
Facciamo un esempio per chiarire meglio: se impugno un atto di accertamento, perdo in primo e in secondo grado e infine vinco in Cassazione, avrò proposto in totale tre cause e ne avrò perse due su tre. Quindi, avrò perso nel 66% dei contenziosi.

Alla fine però dei tre gradi di giudizio avrò vinto definitivamente: quell’atto illegittimo verrà cancellato dal mondo giuridico. Eppure l’Agenzia delle Entrate potrà dire di aver vinto nel 66% dei contenziosi proposti e io solo per il 33%.

Il dato relativo al tasso di vittorie in primo e in secondo grado dunque, non dimostra molto.

Anche il dato di vittorie complessive è fuorviante: in quel 73% totale (o nel 72% che si prospetta essere il dato relativo al 2018) vengono inclusi anche i giudizi in cui l’Agenzia è solo parzialmente vittoriosa, e quindi, al tempo stesso parzialmente soccombente.

Per chiarire, supponiamo che io impugni un avviso di accertamento in cui mi si contestano, diciamo, 100 mila euro tra imposte dovute, sanzioni, eccetera, e che il giudice accolga solo in parte la mia domanda, riducendo le pretese del fisco da 100 mila a soli 20 mila euro.
Il ricorso è parzialmente accolto e parzialmente rigettato, ma a ben vedere nella sostanza il vero vincitore sarei io che vedo ridurre dell’80% il mio debito con il fisco. Eppure l’Agenzia delle Entrate conteggia in quel 73% o 72% anche contenziosi che hanno questo tipo di esito, cioè, di vittoria solo parziale, e magari anche per una parte solo minima.

Non è finita, perché nel conteggio delle vittorie il fisco si attribuisce anche quei casi in cui ottiene un annullamento con rinvio della sentenza che ha impugnato, perché evidentemente ha perso nel grado precedente.

Cosa vuol dire? Soprattutto quando si arriva in Cassazione, i possibili esiti non sono solo l’annullamento dell’atto tributario o la conferma della sua legittimità. C’è una terza opzione: se sono stati riscontrati alcuni particolari errori procedurali nei precedenti gradi di giudizio può essere decisa la cassazione con rinvio della sentenza. Significa che il giudizio torna indietro al grado precedente e deve essere ripetuto. Chi ha vinto in questo caso? Nella sostanza non ha vinto nessuno. Zero a zero e palla al centro. Anche in questo caso, però, l’Agenzia delle entrate considera questo tipo di risultato come una vittoria. Capito come funzionano i numeri?

Se proprio vogliamo giocare con i numeri, in realtà, la prospettiva va ribaltata.
La vera domanda non è “quanti round del match sono riuscito a vincere?”, ma “quanti atti dell’Agenzia sopravvivono veramente all’esito definitivo di un’impugnativa giudiziale?” E cioè di quanti atti tributari viene definitivamente confermata la totale legittimità?

Anche volendo basarci sui numeri diffusi in questi giorni i dati vanno letti nel senso che sia in primo grado che in secondo grado il 55% degli atti tributari viene dichiarato, in tutto o in parte illegittimo.

Non è proprio un risultato di cui vantarsi: se aveste un collaboratore che sbaglia più della metà delle cose che gli sono affidate, quanto tempo ci mettereste a licenziarlo?

Purtroppo questo tipo di comunicazione enfatica e fuorviante, è figlia di un vizio strutturale che affligge le agenzie fiscali in Italia: l’Agenzia delle Entrate è un soggetto indipendente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e ogni anno deve in qualche modo rendere conto della bontà del suo operato e degli obiettivi raggiunti. È un po’ come un fornitore di servizi che deve annualmente sforzarsi di convincere il cliente della qualità del suo prodotto e della competitività dei suoi servizi.

Questo genera la tendenza a enfatizzare i successi e a minimizzare insuccessi e diseconomie.
Diseconomie che, in particolare nel caso dell’Agenzia delle Entrate, a dispetto della sua comunicazione, sono rilevanti, perché allo Stato (e quindi ai contribuenti) costa moltissimo e rende poco, molto meno di quanto sia disposta ad ammettere.

Ma di questo ci si occuperà in altra sede.

Qui invece è importante sottolineare che se questi numeri sono in qualche misura ingannevoli, occorre non cadere in un errore di valutazione di segno opposto: anche dando per assodato che il 55% degli atti tributari è in tutto o in parte viziato, questo non vuol dire che in generale facendo causa al fisco si hanno più della metà delle probabilità di portare a casa un risultato pieno o almeno parziale.

Ogni possibile controversia ha una storia a sé. Le chance di vittoria dipendono primariamente dai contenuti dell’atto che si pensa di impugnare e solo un’analisi da parte di un professionista esperto di contenzioso tributario (quindi, non un avvocato qualsiasi o un commercialista qualsiasi) può dare una valutazione vicina alla realtà.

Non in tutte le controversie si hanno 55% di probabilità di vincere. Ce ne sono alcune che hanno virtualmente lo 0% di chances ed altre che hanno il 90%, al netto di altre variabili non sempre controllabili, come l’errore umano e il livello di preparazione di professionisti e giudici coinvolti.

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Luciano Quarta