Ecco la road map per pacificare l'Egitto
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Ecco la road map per pacificare l'Egitto

Nel primo giorno di Ramadan, il presidente ad interim indica la via: nuova Costituzione, referendum, elezioni entro febbraio. L'analisi di Sherif El Sebaie

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Dopo aver annullato la Costituzione voluta da Morsi e votata dalla Fratellanza Musulmana a dicembre attraverso un referendum popolare, il presidente egiziano ad interim Adly Mansour ha appena annunciato la road map che intende seguire per ridare stabilità all’Egitto: Commissione Costituzionale entro 15 giorni, riscrittura della Costituzione, referendum confermativo della stessa entro quattro mesi, nuove elezioni entro febbraio 2014.

Tutto questo avviene nel primo giorno di Ramadan, mentre si contano ancora i morti seguiti all’assalto delle caserme del Cairo da parte della Fratellanza, la quale non appare lucida nella strategia da intraprendere ora che il loro leader, Mohammed Morsi, è decaduto.

Il ruolo dell’esercito

L’esercito, adesso, è il solo collante di cui questo Paese dispone per ripristinare la pace e la calma in tutto l’Egitto. Da quando il generale Sisi ha attivato il piano post-ultimatum, inizialmente incruento, la situazione si è via via complicata. Ciò nonostante, i Fratelli Musulmani non sembrano oggi avere concrete speranze di ribaltare la situazione attraverso la violenza. Né ora né in seguito.

L’esercito egiziano è notoriamente energico e determinato nel perseguimento dei suoi obiettivi e tutto lascia pensare che procederà come annunciato da Adly Mansour. Peraltro, tutte queste azioni erano già previste da oltre un mese prima dell’ultimatum dei militari al presidente Morsi: esse si basano sostanzialmente sulla road map indicata il 4 giugno dall’Alleanza delle Forze Rivoluzionarie (che riunisce circa 60 partiti e movimenti rivoluzionari e che da tempo rifiutava l’idea di cedere il potere a un parlamento dominato dalle forze islamiche).

La sconfitta dell’Islam radicale in Egitto è dunque in atto: e questo, al momento, appare il solo modo per il Paese di superare l’impasse che allontana investimenti e turisti, unica fonte di reddito al di qua e al di là del Nilo.

La chiusura dell’Egitto ai siriani

L’esercito ha anche disposto la semi-chiusura dei confini per i viaggiatori siriani: da oggi le restrizioni per i cittadini con passaporto di Damasco che vogliono raggiungere l’Egitto si fanno più stringenti e, per loro, l’ingresso senza autorizzazione espressa dell’esercito è impossibile, diversamente da quanto accadeva sotto la presidenza di Morsi.

Il che si spiega con il rischio concreto che nel Paese s’infiltrino islamisti e radicali, idealmente vicini ai Fratelli Musulmani, e che questi si saldino nella medesima causa, con ciò portando la lotta anche in Egitto e destabilizzando il già difficile equilibrio che i militari impongono al Paese in queste ore.

Come già in precedenza, l’esercito guidato dal generale Sisi non ammetterà nuovi assalti da parte degli uomini e delle donne pro-Morsi e la repressione sarà dura, nel caso in cui la Fratellanza tenti nuovamente di forzare la mano.

Certo è che i Fratelli Musulmani e i loro leader sembrano aver sbagliato strategia: anziché riunirsi sotto un’unica bandiera e mostrare tutta la loro potenza concentrandosi in piazza come atto simbolico - come invece hanno fatto i manifestanti di Piazza Tahrir - essi hanno impiegato tattiche di assalto e guerriglia, che possono condurre solo a carneficine e dure repressioni da parte dei militari, e che possono solo inficiare le già scarse speranze di una nuova sollevazione popolare. Si è parlato di pacifici sit-in cui l’esercito ha risposto con le armi ma è probabile che non sia andata esattamente così.

Chi vincerà le nuove elezioni?

Ad ogni modo, a meno che la strada indicata delle elezioni non sia resa utopica dalle circostanze, l’incognita sulle future consultazioni nazionali è grande: anzitutto, non si può escludere che vincano nuovamente le correnti islamiste. In quel caso, che succederebbe? Possono i militari continuare a destituire tutti i leader che essi non ritengono adatti al comando? Perché, per quanto ben accolto dal popolo, il 3 luglio è andato in scena un golpe e chi ritiene che tale non sia stato solo perché non è stato bombardato il Palazzo Presidenziale, probabilmente si illude.

L’Egitto però ha scelto la strada della democrazia e adesso bisognerà essere coerenti e accettare i risultati delle prossime elezioni, quali che siano. Quello che si è palesato sinora è forse un intoppo connaturato all’accelerazione improvvisa di un Paese che è passato da un regime dittatoriale, quello di Hosni Mubarak, a libere elezioni. Ma adesso, con una crisi che morde e una calma imposta con le armi, l’Egitto non si può più permettere di sbagliare.

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Luciano Tirinnanzi