Migranti nel porto di Catania, 2017
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Don Ermanno Caccia: "Non dividiamo il popolo cristiano sui migranti"

Il sacerdote, emarginato per le sue idee sul governo, torna sul dissenso interno alla Chiesa sul tema migranti

Don Ermanno Caccia è un vulcano. Non perde il sorriso nel dividersi fra la parrocchia di Mortizzuolo, in provincia di Modena, che fu epicentro del terremoto in Emilia, i pellegrinaggi e il suo blog. «Bisogna portare Gesù dove passano i viandanti» spiega. Don Ermanno è amato dalla sua gente e un po’ meno dal potere curiale, che lo ha costretto alle dimissioni da direttore del giornale diocesano perché aveva parlato bene di Matteo Salvini. «Il popolo ha scelto uno fidato» aveva scritto dopo le Politiche. Una bestemmia.

Ha senso per un cattolico oggi trovarsi al bivio: o Salvini o il Papa?

No, non ha senso né il bivio né la contrapposizione. Non mi aspetto un granché da quelli che appaiono tanto devoti. Guardo piuttosto con fiducia in direzione di coloro che tengono la testa alta e la schiena dritta. Chi ha la coscienza formata e ha solidi principi non si ferma così in superficie.

Alla base di tutto c’è la politica sui migranti. Nella sua parrocchia qual è il pensiero dominante?

I miei concittadini dicono che è doveroso salvaguardare ogni vita umana, ma l’accoglienza e il collocamento di queste persone non possono essere gestiti da una continua emergenza palesemente strumentalizzata. La gente vede che non c’è stata la stessa tempestività per le emergenze che hanno riguardato il dopo terremoto. E tira le somme.

Perché Papa Francesco ha come cavallo di battaglia l’immigrazione?

Che il problema di diseguaglianza sia di difficile soluzione è sotto gli occhi di tutti. Francesco, un Papa venuto da lontano, ha ben presente lo scarto che esiste tra il mondo ricco e povero. Gli appelli che giungono sulla sua scrivania lo spingono a osare, ma il problema è un altro.

Quale, don Ermanno?

Sta tutto nella parabola della zizzania. Chi cavalca a suon di proclami questi input, queste riflessioni giuste e umanitarie, divide lo stesso popolo cristiano dal di dentro. La zizzania, si voglia o no, intreccia inesorabilmente le proprie robuste radici con quelle del grano. Per unire bisogna distinguere: dialogo, diversità e distinzione viaggiano e camminano insieme.

Perché chi ha a cuore l’identità, le tradizioni, la dottrina deve considerarsi sovranista, quindi lontano da Dio?

Questa è una semplificazione dei parolai, vale per i dibattiti tv ma non rappresenta la realtà. Lontananza e vicinanza da Dio: personalmente mi accontenterei di un po’ di silenzio e che qualche cervello vuoto fosse visitato da un pensiero serio. Sarebbe un evento prodigioso se questa vicinanza, questo cercare Dio, chiarisse a tanta gente svagata le idee circa la vita, il senso da darle e i valori su cui impostarla.

In una lettera aperta lei ha parlato dei danni compiuti da «campioni di una fede altezzosa e ostentata». Si riferiva ai teologi tifosi della Sea Watch, sempre più distanti dai sacerdoti in trincea.

C’è una fedeltà di facciata, rispettosa nelle forme, che sovente fa da paravento all’opportunismo e al cinismo. C’è poi una fedeltà sofferta, che qualche volta si traduce in atteggiamenti scomposti, in un tono un po’ ribelle, ma che tradisce un impegno di fondo, una vita esemplare nella sostanza. Insomma ci può essere una deferenza ostentata verso la linea dominante, un’obbedienza esibita, che maschera il disamore.

Due milioni di italiani in meno hanno dato l’otto per mille alla Chiesa cattolica. È un allarme?

Un vecchio adagio popolare dice che chi semina vento raccoglie tempesta. Un’informazione inefficace provoca emorragie. Nella mia terra mortificata dal sisma quell’8 per mille ha permesso la ricostruzione di chiese. La nostra gente è generosa, ma noi abbiamo il dovere di restituire ciò che ci viene elargito. E di farlo sul territorio.           

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