Il bavaglio di Napolitano
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Il bavaglio di Napolitano

Nel suo messaggio di capodanno parole giuste ma vuote, senza spunti, attacchi, brio - Il testo   - Video

Un discorso volutamente dimesso, buonista, non incisivo, rasserenante, ambizioso nel tentativo di dare voce ai cittadini (quelli che gli scrivono, o meglio una scelta di quelli che gli scrivono).

Il discorso di fine anno del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (qui il testo integrale) , in parte scorre via come un sottofondo musicale poco orecchiabile (la solita terminologia un po’ aulica molto istituzionale, stavolta perfino poco politica), in parte si ravviva solo quando Napolitano parla di se stesso per dire con un sorriso vagamente mellifluo che “nessuno può credere alla ridicola storia delle mie pretese di strapotere personale” e, poi, che “non mi lascerò condizionare da campagne calunniose, da ingiurie o da minacce”.

E tuttavia, anche se il capo dello Stato si guarda bene dal prendere posizione nel merito della battaglia politica in atto (non spende neppure una parola di elogio nei confronti del “suo” governo e del “suo” premier, Enrico Letta), è inevitabile percepire quel suo linguaggio, le sue parole politicamente corrette, la voce incrinata dall’età ma tesa a suggerire senza impazienza cambiamenti e riforme (da otto anni), come il borbottio graffiato di un disco in vinile. Parole che suonano belle e vuote. Giuste e sorde. La freschezza delle lettere dei cittadini, nelle parole del Presidente si frantuma come foglie secche tra le dita.

C’è in tutto il suo discorso un difetto acustico, come se il problema fossero le parole stesse, l’immagine statica di venerando presidente alla scrivania con le bandiere alle spalle e la fatica del padre disamorato che fa bla-bla.

Voglio dire: non c’è nulla di sbagliato nelle parole di Napolitano. Non c’è la citazione polemica di nessun politico, neppure di Grillo. Neppure di Berlusconi. Neppure di Renzi. Non c’è una bacchettata a qualcuno. Non c’è un’intromissione nei tempi del governo e del voto. C’è, semmai, una conferma del desiderio di non restare al proprio posto “un minuto più del necessario”, fintanto che gli sarà concesso di avere la forza per esercitare le funzioni. Ma lo dice non in forma di ricatto, no. Non è un dire: se non fate quello che dico io, mi dimetto. È soltanto un post-it mentale: appena posso, me ne vado.

Che dire? Forse è bene che nel discorso non ci fossero certi riferimenti (per esempio alla vicenda giudiziaria di Berlusconi, per esempio alla sentenza della Corte Costituzionale che ha delegittimato il Parlamento bocciando il premio di maggioranza, per esempio al duello con Grillo sui tempi di un nuovo esecutivo, per esempio sullo scontro fra governativi e opposizioni riguardo alla legge di stabilità). Ma, appunto, era il discorso di un uomo che ha solo il coraggio dell’omissione. E che sente disgregarsi giorno dopo giorno la sua popolarità che una volta era altissima e oggi è crollata.

Per non apparire di parte, e riservare alle decisioni di sostanza l’esercizio del suo vero potere, il Presidente si è messo il bavaglio. E ha pronunciato un discorso bello e inutile, che non tocca la carne viva degli italiani, che non dà le risposte che i cittadini chiedono a gran voce, che anche quando affronta il tema dell’Europa non riesce a scaldare gli animi o a spiegare perché l’Italia dovrebbe restare europea.

Un discorso che non fa sperare in un 2014 realmente “diverso e migliore”. Insomma, se continua così, il 2014 non sarà né diverso né migliore. Con buona pace di Napolitano.      

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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