Direttori un po' troppo responsabili
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Direttori un po' troppo responsabili

La debolezza della legge sulla diffamazione in discussione secondo l'avv. Cristina Malavenda

Di Cristina Malavenda, Corriere della Sera

Caro direttore, è di questi giorni l'ultima tornata di consultazioni della Commissione Giustizia della Camera, prima che il disegno di legge sulla diffamazione venga licenziato e rimesso all'esame dell'aula. Mentre tutte le proposte prevedono interventi che escludano il rischio del carcere per i giornalisti, meno chiara sembra la posizione sulla responsabilità dei direttori, che al momento debbono garantire il rispetto del codice penale, da parte di chiunque intervenga e a qualunque titolo sul loro giornale e, a norma dell'articolo 57 del codice penale, sono puniti se ciò non avviene. Le ventilate modifiche a tale norma estendono questa responsabilità ai direttori delle testate radiofoniche e televisive, che oggi ne sono immuni; ma tutte, tranne una, mantengono per il resto invariato lo schema attuale, quando non lo peggiorano.

Si tratta di un approccio non condivisibile:la norma, introdotta nel 1930, perché nessun reato, commesso con il mezzo della stampa, rimanesse impunito, appare oggi anacronistica e, nella sua reale applicazione, gravata da seri dubbi di costituzionalità. Nel nostro sistema, infatti, non è prevista la responsabilità penale oggettiva, che deriva esclusivamente dal ruolo svolto e che somiglia, invece, pericolosamente a quella che grava sul direttore, obbligato a leggere, per sottrarsi alle inevitabili conseguenze, tutte le pagine di ogni numero del suo giornale e, se si tratta di un quotidiano, anche delle edizioni locali e degli inserti; e punito ove, fra quelle pagine, si annidi un reato del quale non si è accorto.

Non solo negli articoli, dunque, ma anche in tutto il resto, inserzioni comprese, perché ogni tanto qualche Procura avvia indagini, in particolare su quelle «a luci rosse», non esplicite s'intende, ma ammiccanti quanto basta per ingenerare il sospetto che i massaggi offerti non siano propriamente curativi o drenanti. E le pagine a pagamento, i titoli, i sommari, le foto, le brevi tutto ricade sotto la sua responsabilità, rendendo la pretesa di controllo un'impresa impossibile e la sua responsabilità di fatto oggettiva, nonostante l'ipocrisia di chi, in punto di diritto, nega che ciò sia consentito.

La conferma viene dalle statistiche:l'assoluzione di un direttore, ove sia accertata la commissione di un reato e punito il suo autore è, nel palmarès di un avvocato, più rara della figurina di Pier Luigi Pizzaballa. Le conseguenze non sono trascurabili, un accumulo di condanne, l'impossibilità di godere, perciò, dei benefici che spettano agli incensurati, il rischio concreto di finire in carcere e, a volte, quello di dover risarcire danni causati da altri.

Oscurati da più impellenti necessità, dunque, i problemi generati da un sistema punitivo datato potrebbero acuirsi, gravando anche i direttori delle testate radiotelevisive degli stessi oneri e delle stesse conseguenze, ma senza alcuna apertura che tenga conto del reale sistema, con cui gli interessati si confrontano e dell'inutilità di una duplicazione di responsabilità. È questo, infatti, l'aspetto meno comprensibile, perché sovente sono in due a rispondere dello stesso reato, chi lo ha commesso e chi non ha controllato abbastanza da impedirlo.

Per ridurre le storture e garantire, allo stesso tempo, un adeguato presidio, occorre avere il coraggio di ammettere che il direttore non è in grado di svolgere tutti i controlli che il codice penale gli assegna. Il rimedio è semplice e già recepito da una delle proposte all'esame della Commissione: se un articolo è firmato, è l'autore che deve assumersene intera la responsabilità, se l'inserzionista è identificabile, è lui che deve essere eventualmente punito, mentre del «prodotto anonimo», dalla breve all'articolo firmato con uno pseudonimo, non può che continuare a rispondere il direttore, sanzionato, però, sempre e solo con una multa, perché un compito unico e insostituibile non diventi un fardello troppo difficile da portare.

Avvocato, esperto in Diritto dell'informazione

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