Dilemma afghano: restare o andarsene?
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Dilemma afghano: restare o andarsene?

Karzai non firma l'intesa con Washington e Obama minaccia il ritiro totale...anche degli italiani

Barack Obama ci riprova e tenta di pressare il presidente afghano Hamid Karzai per indurlo a firmare l’accordo sulla sicurezza che consentirebbe di pianificare la presenza militare statunitense e Nato in Afghanistan dall’anno prossimo, quando sarà stato completato il ritiro delle forze da combattimento internazionali  attualmente nel Paese. Karzai si rifiuta di firmare l’intesa perché non si fida degli Stati Uniti e soprattutto perché vuole lasciare l’incombenza al suo successore che uscirà dalle elezioni del 5 aprile. In assenza della firma sul Bilateral Security Agreement (BSA)

Gli Stati Uniti minacciano però di ritirare tutte le loro truppe dall' Afghanistan applicando la cosiddetta "opzione zero" già più volte ventilata dalla Casa Bianca.

Obama ha detto ieri a Karzai che è ancora possibile concludere l’accordo  ma “il tempo stringe” e del resto i vertici del Pentagono e della Nato sono molto scettici circa la possibilità che il presidente afghano firmi l’intesa già messa a punto nell’ottobre scorso e poi approvata da tutto il governo di Kabul e dalla Loya Jirga, l' assemblea di oltre 2.500 anziani e leader tribali riuniti a Kabul proprio per esprimersi sul BSA.

Dal 2015 dovrebbero restare in Afghanistan circa 8/10 mila militari statunitensi e 2mila alleati, in gran parte tedeschi e italiani, schierati in 5 basi con compiti di supporto e addestramento delle truppe di Kabul e di contrasto alle forze di al-Qaeda.

Washington ha in valutazione anche un’opzione più ridotta, limitata a soli 3 mila militari concentrati in un paio di basi oltre al ritiro totale che lascerebbe le truppe afghane da sole contro i talebani anche sul piano economico bloccando di fatto i finanziamenti per 4,1 miliardi di dollari annui promessi da Stati Uniti e alleati per sostenere e stipendiare le forze di sicurezza locali tra il 2015 e il 2017.

Le incertezze sul mantenimento o meno di truppe e basi in Afghanistan si ripercuote sulla gigantesca macchina logistica che sta gestendo il rimpatrio di mezzi e materiali da un Paese privo di sbocchi al mare e di porti. Per questo riportare a casa container, veicoli ed elicotteri costa miliardi agli Stati Uniti e non sapere quali e quanti mezzi  ed equipaggiamento dovranno (forse) restare nel Paese asiatico complica non poco la situazione.

Anche se da noi quasi non se ne parla il problema riguarda anche l’Italia che ha accettato di lasciare per altri tre anni circa 800 militari a Herat. Una nuova missione prevista nell’ambito dell’operazione Resolute Support varata dalla Nato ma che non è stata mai discussa in Parlamento. Il ritiro da Herat dell’attuale contingente, meno di 2 mila militari, costerà circa 100 milioni secondo fonti della Difesa. Cifra necessaria a rimpatriare (con aerei cargo fino agli Emirati Arabi e da lì in Italia via nave) container e veicoli che messi in fila raggiungono i 10 chilometri di lunghezza (altri 3 chilometri sono già rientrati in Italia) ma che potrebbe lievitare di un 20 per cento qualora scattasse “l’opzione zero” se si riportassero a casa anche gli equipaggiamenti destinati alla nuova missione.

Se lasciare l’Afghanistan non è un affare a buon mercato, costerà ancora di più rimanerci. La partecipazione a Resolute Support  avrà un costo annuo previsto tra i 250 e i 300 milioni. Cifra elevata perché con le truppe dovranno restare forze speciali, aerei ed elicotteri e sarà necessario tenere aperta a base logistica ad al-Batin (Abu Dhabi) ma nel complesso si tratterà di uno sforzo finanziario pari a circa un terzo di quanto costò la missione negli anni scorsi quando nell’Ovest afghano erano schierati oltre 4.200 militari italiani. A questo denaro vanno aggiunti poi altri 100 milioni di euro all’anno che rappresentano la quota sottoscritta da Roma per sostenere le forze di Kabul nel prossimo triennio. A spanne, con il prolungamento della presenza italiana, nel 2017 la missione afghana ci sarà costata non meno di 8 miliardi di euro in 15 anni.
 

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Gianandrea Gaiani