Dalla parte dell'esercito egiziano
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Dalla parte dell'esercito egiziano

Magistratura e forze armate hanno scelto la primavera islamica contro l’inverno islamista: stare al loro fianco non è oscurantismo, ma istinto di sopravvivenza

 

In Egitto bisogna stare con l’esercito che ha sposato la primavera islamica contro l’inverno islamista, con l’esercito che si è opposto alla Fratellanza musulmana e al suo leader Mohamed Morsi che da presidente (deposto) non stava traghettando il paese verso la democrazia ma verso un regime plebiscitario di matrice integralista. In Egitto bisogna stare con l’esercito, perché rappresenta la stabilità in una regione che ne ha disperatamente bisogno. Una regione già attraversata da spinte destabilizzanti come la guerra civile in Siria che ha contagiato il Libano. Esercito e magistratura da cinquemila anni puntellano le istituzioni attorno al Nilo. 

Scorre il sangue in Egitto ed era prevedibile. Decine di morti, 35 per i medici, 42 per la Tv di Stato, 77 secondo i Fratelli musulmani compresi bambini e bebè. Scontri all’alba fra militari e musulmani davanti alla sede della Guardia Repubblicana, due giorni dopo il colpo di Stato che ha fatto cadere Morsi.

L’esercito dunque spara. Fa fuoco sui fratelli musulmani. In piazza popoli contrapposti: da un lato i laici e islamici moderati che a milioni hanno manifestato contro Morsi, dall’altro gli islamisti della Fratellanza fautori della Sharia come legge di Stato.

Il comandante delle forze armate, Al Sissi, e il magistrato della Corte Costituzionale, Al Mansour, si saldano con una premiership “tecnica” per risolvere i problemi che stanno alla base di tutte le rivolte: una profonda crisi economica che ha colpito, sotto Mubarak, chiunque non appartenesse alla cerchia di potere. Un declino che si è acuito con Morsi che pure aveva promesso di rivoluzionare (in meglio) l’Egitto in 100 giorni.

Sullo sfondo la pressione dei salafiti (tradizionalisti, ma anche loro in rotta con Morsi perché accentratore, lo definiscono “un fascista”) e i jihadisti. E un territorio che si frantuma, con il Sinai consegnato di fatto da Morsi agli estremisti. E Israele che sta là. A guardare cosa succede.

In molti rimpiangono Mubarak. Il Faraone. Baluardo contro la Fratellanza e contro Al Qaeda. Un baluardo che prima o poi doveva crollare. È in atto nel Nord Africa e in Medio Oriente un braccio di ferro dall’esito incerto. E la transizione verso la democrazia potrebbe dover passare attraverso momenti di restaurazione militare. Siamo liberali, ma pragmatici.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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