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(Ansa)
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Usa e Israele alla ricerca della quadratura del cerchio

Emergono alcune distanze tra Washington e Gerusalemme sulla crisi di Gaza. I due governi stanno lavorando per cercare di superarle

L’amministrazione Biden, sulla crisi di Gaza, inizia sempre più a trovarsi in una sorta di dilemma. Una situazione, questa, testimoniata dall’ultimo viaggio di Tony Blinken nello Stato ebraico. “Israele non ha solo il diritto ma anche l'obbligo di difendersi, per assicurarsi che il 7 ottobre non accada mai più”, ha dichiarato il segretario di Stato americano, dopo aver avuto un colloquio con il presidente israeliano, Isaac Herzog. “Finché ci saranno gli Stati Uniti, Israele non rimarrà solo”, ha aggiunto Blinken in un secondo momento, definendo inoltre “scioccante” il brutale attacco perpetrato da Hamas contro Israele.

Parole, quelle del segretario di Stato, che hanno ribadito il sostegno di Washington a Gerusalemme. Tuttavia sembrerebbe che, dietro le quinte, le posizioni dei due Paesi siano meno allineate di quanto ufficialmente appaia, soprattutto a causa di crescenti preoccupazioni in seno all'amministrazione Biden. A sottolineare una simile situazione è stata la Cnn, secondo cui “alcuni degli stretti consiglieri del presidente ritengono che ci vorranno solo settimane, non mesi, prima che diventi insostenibile respingere la pressione sul governo degli Stati Uniti affinché chieda pubblicamente un cessate il fuoco”.

Non è d’altronde un mistero che, da settimane, Joe Biden stia cercando di spingere Benjamin Netanyahu a evitare una reazione sproporzionata, con l’obiettivo di scongiurare un allargamento del conflitto. È in quest’ottica che, già alcuni giorni fa, lo stesso Blinken, pur non invocando un cessate il fuoco, aveva auspicato delle “pause umanitarie” nel contesto della crisi di Gaza. Un tema, questo, su cui è tornato anche nella sua ultima visita in Israele. “Dobbiamo fare di più per proteggere i civili palestinesi”, ha detto, chiedendo anche un maggiore afflusso di aiuti umanitari nella Striscia. Dal canto suo, Netanyahu ha escluso interruzioni temporanee delle operazioni militari senza “il rilascio dei nostri ostaggi”. Il premier israeliano si è inoltre detto contrario all’ingresso di carburante a Gaza.

Di attriti tra il governo americano e quello israeliano ha parlato anche il Times of Israel, secondo cui “le politiche della coalizione del primo ministro Benjamin Netanyahu in Cisgiordania hanno ‘fatto infuriare’ l’amministrazione del presidente americano Joe Biden negli ultimi giorni, ‘distogliendo’ Washington dal fornire un sostegno più completo a Israele nel mezzo della guerra con Hamas”. In particolare, stando alla testata, ciò sarebbe stato rivelato da due funzionari israeliani.

Insomma, dietro le quinte si registrerebbero delle turbolenze. È d’altronde complicato armonizzare esigenze contrastanti. Israele ha urgente bisogno di ripristinare la deterrenza, se vuole evitare il rischio di subire in futuro un attacco simile a quello del 7 ottobre. Dall’altra parte, Biden punta a scongiurare sia un allargamento del conflitto sia il deragliamento degli accordi di Abramo. La situazione è complicata, certo. Ma forse, per iniziare a trovare una via d’uscita, l’attuale Casa Bianca dovrebbe mostrarsi meno soft nei confronti dell’Iran: quello stesso Iran che storicamente spalleggia tanto Hamas quanto Hezbollah. La “massima pressione” su Teheran, adottata ai suoi tempi dall’amministrazione Trump, è attualmente solo un lontano ricordo. Forse Biden dovrebbe rispolverarla. I proxy iraniani rischiano altrimenti di diventare sempre più baldanzosi e pericolosi.

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Stefano Graziosi