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(Ansa)
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La crisi a Taiwan minaccia l’influenza americana sull’Indo-Pacifico

La crisi di Taiwan nasce dalla crisi della deterrenza americana. Biden deve capirlo in fretta o il Dragone ne approfitterà senza pietà

No. Checché ne dica la propaganda del Partito comunista cinese, il problema della crisi taiwanese non risiede nella visita di Nancy Pelosi in sé. Taiwan non ha mai riconosciuto né è mai stata soggetta alla Repubblica popolare cinese, istituita da Mao Zedong nel 1949. La stessa risoluzione Onu del 1971 che conferì alla Repubblica popolare il seggio nel Consiglio di sicurezza non stabilisce alcuna autorità di Pechino su Taipei. Ne consegue che la visita di parlamentari occidentali sull’isola non costituisce una violazione della sovranità cinese. Il problema della visita della Pelosi è semmai un altro.

Quel viaggio è stato preceduto da divergenze pubbliche tra Joe Biden e la stessa Pelosi, visto che il presidente americano aveva chiaramente lasciato intendere di non gradire l’intenzione della Speaker di recarsi sull’isola. Ebbene, questi attriti coram populo hanno trasmesso ai cinesi l’immagine di una frattura tra le alte sfere istituzionali americane. Un’immagine che ha quindi indebolito la deterrenza statunitense nei confronti di Pechino, rendendo quest’ultima più sicura di sé, più baldanzosa e – in definitiva – più propensa ad osare. Non è un caso che, quelle condotte la settimana scorsa, siano state le esercitazioni militari più ampie mai effettuate dalla Repubblica popolare nelle acque taiwanesi.

La propaganda del Partito comunista cinese, che punta tutto sulla furibonda reazione a una presunta “provocazione”, va quindi ribaltata. Pechino è tutt’altro che dispiaciuta per la visita della Pelosi, perché quella visita – portando alla luce le suddette divergenze americane in mondovisione – ha indebolito la capacità di deterrenza degli Stati Uniti. Le stesse esercitazioni cinesi sono state finalizzate a mettere ulteriormente sotto pressione la Casa Bianca, con lo scopo di aumentarne l’irresolutezza e, soprattutto, indebolirne la credibilità davanti agli alleati in Estremo oriente. E qualche crepa comincia a vedersi.

La Corea del Sud ha assunto sulla crisi taiwanese un atteggiamento molto più cauto rispetto a Giappone e Australia. Tutto questo, mentre risulta particolarmente preoccupante la posizione defilata dell’India. Una posizione che, secondo la testata The Hindu, sarebbe un “silenzio studiato”, dettato dalla volontà di non peggiorare i rapporti con Pechino sulla disputa dei confini himalayani. A questo va aggiunto un ulteriore elemento non poco preoccupante: a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, Nuova Delhi si è (almeno parzialmente) avvicinata alla Cina. Il nodo è significativo, perché l’India fa parte del Quad: quel quartetto di Paesi che – costituito anche da Stati Uniti, Giappone e Australia – mira storicamente a contrastare l’influenza cinese nell’Indo-Pacifico.

Insomma, il Dragone punta a picconare la credibilità statunitense in Estremo oriente: un obiettivo, attraverso cui i cinesi sperano di rafforzare la propria influenza sull’area, aprendo così concretamente la strada a una sempre più probabile invasione della stessa Taiwan. Biden deve quindi ripristinare urgentemente la deterrenza, per evitare quell’effetto domino verificatosi a seguito delle crisi in Afghanistan e in Ucraina: crisi che hanno azzoppato la deterrenza dell’attuale Casa Bianca in varie aree (si pensi solo alla progressiva perdita influenza del presidente americano su Medio Oriente e America Latina). La questione è urgente, perché il Dragone è intenzionato a spingere sull’acceleratore. Biden potrebbe ripartire dall’Aukus e cercare di ricompattare al più presto il Quad. Ma il punto decisivo è uno: tornare al principio reaganiano, secondo cui “la pace si preserva attraverso la forza”. Occorre concretezza, minacciosità, imprevedibilità e (se vogliamo) un pizzico di spregiudicatezza. L’effetto domino rischia di essere innescato molto presto. La Casa Bianca agisca in fretta. O l’influenza del Dragone rischia di espandersi pericolosamente a macchia d’olio nell’Indo-Pacifico.

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Stefano Graziosi