Assange come Navalny; quella falsa equivalenza tra l'Occidente e le autocrazie
Perché i casi dei due noti protagonisti di battaglie internazionali non sono paragonabili, come qualcuno ci racconta
Sta circolando, in queste ore, la tesi secondo cui i casi di Alexei Navalny e Julian Assange sarebbero in sostanza sovrapponibili. In realtà, al di là di come la si pensi nel merito delle due vicende, si tratta di questioni piuttosto differenti. Ma iniziamo dal ripercorrere le storie di Navalny e Assange.
Almeno dal 2011, Navalny portava avanti delle battaglie politiche di opposizione al presidente russo, Vladimir Putin. Nell’agosto del 2020, subì un avvelenamento, di cui, secondo lui stesso e il Dipartimento di Stato americano, erano responsabili i servizi russi. L’attivista, dopo essere stato curato in Germania, decise di fare ritorno in Russia, dove fu messo in stato d’arresto a gennaio del 2021. Era invece il 2010, quando Julian Assange, attraverso la sua piattaforma Wikileaks, pubblicò una notevole quantità di documenti diplomatici statunitensi. Inoltre, nel 2017, la stessa Wikileaks iniziò a pubblicare un’altra serie di documenti relativi alle attività della Cia. Assange fu quindi incriminato dal Dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Trump tra il 2019 e il 2020. In quest’ottica, gli Stati Uniti hanno inoltrato la richiesta di estradizione su cui l’alta corte di Londra dovrà pronunciarsi a breve.
E qui arriviamo al punto. Perché, al di là di come la si pensi nel merito delle due vicende, non si tratta di questioni realmente sovrapponibili? Innanzitutto emerge un’evidente differenza tra il sistema giudiziario russo e quello americano. Con tutti i problemi e le storture che quello americano può avere (e che ha), non è paragonabile all’altro in termini di garanzie e contrappesi. In secondo luogo, negli Stati Uniti è possibile difendere Assange, mentre in Russia non è esattamente agevole fare la stessa cosa per Navalny. Appena lo scorso 19 febbraio, il New York Times ha pubblicato un articolo nella sezione “opinioni”, intitolato “L'estradizione di Julian Assange minaccia la libertà di stampa”. “Il processo contro Julian Assange rappresenta una minaccia assoluta per la libertà di stampa”, titolò inoltre The Nation nel 2021. A schierarsi con Assange è stato anche l’allora deputato repubblicano del Texas, Ron Paul: di orientamento libertario, quest’ultimo fu candidato alla nomination presidenziale repubblicana nel 2008 e nel 2012. A difendere il fondatore di Wikileaks è stato anche, nel 2022, il deputato democratico Ro Khanna.
Perché il problema alla fine ha una portata più vasta. Soprattutto a seguito della pandemia, si è sviluppata in Occidente tutta una corrente politica e di pensiero che tende o a presentare le autocrazie quasi come dei modelli da seguire o a stabilire false equivalenze tra le autocrazie stesse e i sistemi liberaldemocratici. Sistemi, sia chiaro, che hanno i loro problemi e che non vanno ingenuamente idealizzati. Ma che restano comunque ben diversi da realtà politiche e istituzionali dove non vige trasparenza né effettiva separazione dei poteri. E, soprattutto, dove il dissenso non viene tollerato.