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(Ansa)
Dal Mondo

Jimme Akesson ed il balzo del Partito Democratico di Svezia

Storia, progetti, scheletri nell'armadio, del partito di destra che ha ottenuto ieri nelle elezioni una crescita notevole (e per alcuni preoccupante)

Jimme Akesson, classe 1979, è davvero un astro nascente della politica svedese? Classe 1979, cresciuto nel piccolo paesino di Sölvesborg, sulla punta meridionale della Svezia che affaccia sul Mar Baltico, la notte di Capodanno del 1994 formò con alcuni compagni di studi una branca locale dello Sverigedemokratisk Ungdom (Sdu), il partito Democratico di Svezia.

Che tanto democratico poi non è, se figure come Tina Hallgren-Bengtsson, compagna di partito di Akesson a Sölvesborg, nel 1996 bruciava libri sul rogo indossando un’uniforme nazista.

Jimmie Akesson è stato il principale autore del manifesto del partito nel 2003 e del programma democratico nel 2004. Mentre nel 2005 è stato eletto presidente dell’Sdu. Le sue idee erano chiare: opporsi all’Unione Europea, lottare contro l’immigrazione incontrollata in Svezia e portare il partito in auge. Per questo, nel 2011 ha iniziato un repulisti di figure scomode o apertamente nazifasciste, dopo aver accantonato anche alcune idee controverse, come la richiesta di uscita della Svezia dall'Unione Europea.

Ma la sua politica di «tolleranza zero» verso figure interne compromesse, secondo i critici, è stata applicata unicamente a rappresentanti di basso livello, mentre nella gerarchia del partito i vertici sono rimasti tutti al loro posto. Di certo, nella visione del partito, l’immigrazione islamica è tuttora considerata «la più grande minaccia straniera dalla Seconda Guerra Mondiale» e, più in generale, si afferma che l’etnia «comprende soprattutto la cultura, la lingua e la religione, ma non si può ignorare il fatto che anche l'aspetto esteriore abbia un certo significato».

Con simili convincimenti, lo Sdu si è presentato alle elezioni nel settembre 2014, raccogliendo però scarsi risultati. Subito dopo, Akesson si è messo in congedo per malattia a tempo indeterminato a causa del burnout, altrimenti detta crisi di nervi. Secondo lui, i «persistenti tentativi dei nostri avversari di fermare il nostro successo, le campagne giornalistiche spesso ignobili dei media e l’odio sfrenato degli estremisti» ne sono stati causa diretta.

Ma, poco prima di quelle elezioni, la radio svedese Ekot aveva rivelato che Jimmie Akesson si era giocato mezzo milione nei casinò online. Secondo un’inchiesta giornalistica, il leader del partito Democratico era un soggetto «in grado di giocarsi uno o due mesi di stipendio in quindici minuti». A parte ciò, ripresosi nel giro di qualche hanno, ha lavorato per far crescere lo Sdu blandendo il malcontento montante tra la popolazione, che ha raggiunto il culmine con la pandemia.

Fino al 2022. Quando il voto in Svezia è arrivato nel bel mezzo dell’aumento dei prezzi dell’elettricità e dall’impennata delle violenze e sparatorie che hanno scosso la società svedese nel profondo. E così, nonostante l’alto gradimento del governo socialdemocratico guidato da Magdalena Andersson – che puntava al bis – il panorama politico è stato letteralmente sconvolto, e l’attivismo dei Democratici nazionalisti di Akesson è stato inaspettatamente premiato.

A lungo bastione della socialdemocrazia, il più grande Paese nordico si è dunque risvegliato quest’oggi con un consenso netto per il centrodestra, la cui coalizione ha ottenuto complessivamente 175 o 176 seggi su 349, e dunque la vittoria a portata di mano (mercoledì si sapranno i dati definitivi).

La maggioranza risicata della coalizione di sinistra, avanti con il 49,6%, è infatti insufficiente a prevalere sulle destre, al 49,%, e questo prefigura lunghe trattative per la nascita del nuovo governo. Con la Andersson che potrebbe persino essere spodestata.

Ma se il blocco conservatore ha fatto il pieno alle urne, non è per l’insipienza di Andersson, quanto invece per le capacità «seduttive» del leader del Partito Moderato Ulf Kristersson, 58 anni, che ha avuto il merito di saper formare una coalizione che mirava a sostituire il governo puntando tutto sul termine «moderati», per mettere un cappello autorevole sull’ambigua coalizione di centro-destra.

Ambigua perché, appunto, il suo partito si è dovuto legare non soltanto con i Cristiano-democratici ma, sia pur in maniera utilitaristica, proprio con i populisti di Akesson. I quali hanno ottenuto il loro miglior risultato di sempre e dunque hanno ragione di festeggiare e pretendere un posto al sole accanto a un ipotetico governo di Kristersson. Che adesso deve guardarsi le spalle proprio da loro, perché sono persino in vantaggio rispetto agli stessi Moderati (73 seggi a 67).

Akesson e Kristersson hanno condiviso soprattutto la battaglia sul sostegno all’energia nucleare, uno dei punti chiave della campagna elettorale, che punta a invertire la politica di graduale abbandono dell’energia nucleare. Inoltre, a convincere gli svedesi è stata la retorica sulla pressione fiscale, secondo cui la riconferma di Andersson potrebbe comportare un aumento delle tasse. E così anche il timore che, con i socialdemocratici riconfermati al governo, le spese per la Difesa (che, in tempi di guerra, contano) verranno finanziate aumentando le aliquote fiscali per i lavoratori più abbienti.

La maggioranza dei voti nel Riksdag, il parlamento svedese, consegna al momento una certa dose d’incertezza sul futuro governo. E il fatto che la Andersson abbia comunque «resistito», non sminuisce il vero vincitore della tornata elettorale: appunto Akesson e il suo partito Sdu, forte di un risultato pari a circa il 21% (il migliore di sempre) rispetto al circa 30% dei Socialdemocratici e al 18% dei Moderati.

Il rebranding del partito estremista di Jimmie Akesson, con relative espulsioni di estremisti, è oggettivamente stato apprezzato dagli svedesi, e i risultati di queste elezioni dimostrano quanto lo Sdu sia riuscito a farsi accettare e a penetrare la società civile. «Adesso siamo il secondo partito in Svezia e sembra che le cose rimarranno così», ha commentato il leader ai suoi sostenitori in festa. «Sappiamo che se ci sarà un cambio di potere, noi avremo un ruolo centrale», ha aggiunto gongolando, «perché la nostra ambizione è essere al governo».

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Luciano Tirinnanzi