I repubblicani mettono sotto i riflettori le grandi piattaforme social
Sono state avviate le indagini parlamentari sui rapporti tra le grandi del tech e il Partito democratico americano
Le indagini parlamentari sui big del web, promosse dai deputati repubblicani, stanno entrando nel vivo. La settimana scorsa, sono stati interrogati alla Camera alcuni ex dirigenti di Twitter, accusati di aver avallato atti di censura ai danni dei conservatori mentre erano in carica: si tratta in particolare di Yoel Roth, Vijaya Gadde e James Baker. Nella fattispecie, l’audizione era dedicata alla controversa decisione da parte della piattaforma di San Francisco di bloccare la diffusione social dello scoop del New York Post su Hunter Biden nell’ottobre del 2020 (a poche settimane, cioè, dalle elezioni presidenziali di allora). Una questione che ha sempre suscitato aspre polemiche e che è tornata sotto i riflettori a seguito della recente pubblicazione dei cosiddetti Twitter Files.
Durante l’audizione, i dirigenti hanno ammesso degli errori nella gestione di quel caso. “Col senno di poi, Twitter avrebbe dovuto ripristinare immediatamente l'account del New York Post date le circostanze”, ha detto la Gadde nella sua dichiarazione di apertura. “Credo che Twitter abbia commesso un errore in questo caso perché volevamo evitare di ripetere gli errori del 2016”, ha affermato dal canto suo Roth. I dirigenti hanno tuttavia escluso che il blocco dello scoop sia avvenuto su richiesta dell’Fbi o di altre agenzie governative. “Non sono a conoscenza di alcuna collusione illegale o direzione da parte di alcuna agenzia governativa o campagna politica su come Twitter avrebbe dovuto gestire la situazione del laptop di Hunter Biden”, ha affermato Baker.
Non è detto tuttavia che queste smentite bastino. La questione non è tanto se l’Fbi o altre agenzie governative abbiano esplicitamente chiesto di censurare lo scoop del New York Post. La questione è se l’Fbi abbia o meno creato un clima per indurre Twitter a procedere con la censura, pur senza una esplicita richiesta. Uno scenario, quest’ultimo, che sembra avvalorato da quanto emerso dai Twitter Files. Ricordiamo infatti che, nelle settimane precedenti alle elezioni presidenziali del 2020, il Bureau tenne numerosi incontri con gli alti dirigenti di Twitter, parlando di rischi legati alla disinformazione straniera (soprattutto russa). Ebbene, fu lo stesso Roth a rivelare nel dicembre 2020 - in una dichiarazione alla Federal Election Commission - che in uno di questi incontri fu improvvisamente tirato in ballo proprio Hunter Biden. “Ho anche appreso in questi incontri che c'erano voci secondo cui un'operazione di hackeraggio avrebbe coinvolto Hunter Biden”, affermò. Inoltre, non va trascurato che Baker, all’epoca deputy general counsel di Twitter, aveva precedentemente lavorato nell’Fbi ed era stato coinvolto nelle indagini federali sulla presunta collusione tra Donald Trump e Mosca. Ebbene, i Twitter Files hanno mostrato che proprio Baker fu tra i principali promotori della censura dello scoop del New York Post, pur avendo ammesso che non c'erano prove inconfutabili del fatto che quell'articolo risultasse frutto di un hackeraggio.
Nel frattempo, sempre la scorsa settimana, la commissione Giustizia della Camera ha chiesto formalmente di visionare entro il 22 febbraio i documenti contenenti le comunicazioni intercorse tra l’amministrazione Biden e le grandi aziende di social network. “La commissione Giustizia sta supervisionando gli sforzi del ramo esecutivo per eludere il Primo emendamento, costringendo e coordinandosi con le società private - comprese le piattaforme di social media - per sopprimere la libertà di parola e censurare i contenuti online", ha scritto in una lettera ufficiale il presidente della commissione, il deputato repubblicano Jim Jordan. Il braccio di ferro, insomma, è appena cominciato. E diventerà probabilmente sempre più intenso man mano che le elezioni presidenziali del 2024 si avvicineranno.