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(Ansa)
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Così Erdogan tiene in pugno l'Occidente

La crisi diplomatica sfiorata con i 10 ambasciatori manifesta ancora una volta la posizione di forza del presidente turco nei suoi rapporti con le cancellerie occidentali

Sono rapporti abbastanza tesi quelli che intercorrono tra la Turchia e l'Occidente. Sabato scorso, Recep Tayyip Erdogan aveva minacciato l'espulsione di dieci ambasciatori stranieri che avevano avanzato pubblicamente la richiesta di rilascio di Osman Kavala: attivista turco, che si trova in carcere dal 2017. "Ho ordinato al nostro ministro degli Esteri di dichiarare questi dieci ambasciatori come 'persona non grata' il prima possibile", aveva tuonato il Sultano. In particolare, i diplomatici coinvolti rappresentavano i Paesi di Stati Uniti, Germania, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia e Svezia.

La crisi è tuttavia poi fondamentalmente rientrata lunedì, dopo che le ambasciate dei Paesi coinvolti hanno reso noto di voler tenere fede all'articolo 41 della Convenzione di Vienna: articolo che vieta agli ambasciatori di interferire negli affari interni della nazione in cui operano. "Gli Stati Uniti osservano che mantengono la conformità con l'articolo 41 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche", ha twittato l'ambasciata degli Stati Uniti su Twitter. Le altre nove ambasciate hanno a loro volta pubblicato dichiarazioni simili. Erdogan – neanche a dirlo – ha considerato questi comunicati come una vittoria e ha quindi rinunciato ad espellere i diplomatici.

Questa situazione mette in luce che i rapporti tra Ankara e l'Occidente restino problematici. Ma evidenzia anche che il Sultano sa come far valere i propri interessi, non risparmiandosi in caso anche delle strategie ricattatorie. Partiamo da Washington. Le relazioni con gli Stati Uniti sono ultimamente peggiorate: il Sultano ha più volte mostrato irritazione nei confronti del presidente statunitense, Joe Biden. Tutto questo, mentre la Casa Bianca teme che Erdogan possa acquistare un nuovo sistema di difesa missilistico dalla Russia: un fattore, questo, che sta portando gli americani a muoversi con cautela. Senza poi dimenticare il dossier afgano: la Turchia ha infatti una rappresentanza diplomatica a Kabul e intrattiene discreti legami con il nuovo regime talebano. Agli occhi degli americani, Ankara costituisce quindi una sponda difficilmente eludibile per poter preservare un minimo di influenza e controllo sull'Afghanistan.

Ma Biden non è l'unico ad avere bisogno dei turchi. Anche l'Unione europea infatti ha le sue necessità: soprattutto in materia migratoria. Basti pensare alle conclusioni dell'ultimo Consiglio europeo, in cui – al punto 17 – si legge: "In linea con la dichiarazione del marzo 2021 e con le conclusioni del giugno 2021, il Consiglio europeo esprime nuovamente l'auspicio che i finanziamenti a favore dei rifugiati siriani e delle comunità di accoglienza in Turchia, Giordania, Libano e altre parti della regione, incluso l'Egitto, a titolo dei pertinenti strumenti siano mobilitati tempestivamente". Bruxelles non può quindi permettersi posizioni troppo severe nei confronti di Ankara: il tema caldo non è infatti più soltanto quello dei profughi siriani, ma anche quello dei potenziali flussi afgani.

Nello specifico, anche Roma sta assumendo un atteggiamento molto più cauto. Se è vero che il nostro ambasciatore non fosse coinvolto nella crisi degli scorsi giorni, è altrettanto vero che – alcuni mesi fa – il presidente del Consiglio, Mario Draghi, avesse definito Erdogan un "dittatore", scatenando le ire del Sultano. Adesso quei tempi sembrano più lontani. Da quanto si apprende, i due leader dovrebbero infatti incontrarsi per un faccia a faccia venerdì prossimo, quando il presidente turco si troverà a Roma in occasione del G20. Al di là degli interessi commerciali in gioco, Roma non può certo ignorare il tema dell'influenza politica turca sull'Ovest della Libia e sui Balcani: un fattore, questo, che dà ad Erdogan dei margini di manovra piuttosto ampi.

È alla luce di tutto quello che abbiamo visto che è possibile comprendere la vera forza del Sultano. Nonostante i rilevanti problemi economici interni, la spregiudicata strategia internazionale consente al presidente turco di risultare un attore di primo piano in svariati scenari nevralgici. Il che solitamente aumenta il suo potere contrattuale. Con le conseguenze che ne derivano.

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Stefano Graziosi