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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (Ansa)
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La partita di Erdogan sull’aeroporto di Kabul

La Turchia punta a incrementare la propria influenza sull'Afghanistan. Ecco come.

Il 27 agosto si sono tenuti i primi colloqui ufficiali tra la Turchia e i talebani. A parlarne, è stato lo stesso presidente turco Recep Tayyip Erdogan. «Abbiamo tenuto i nostri primi colloqui con i talebani, che sono durati tre ore e mezza» ha detto Erdogan ai giornalisti. «Se necessario, avremo l'opportunità di tenere di nuovo tali colloqui». Il Sultano ha inoltre rivendicato (non senza polemica) il diritto di trattare con i «barbuti». «Non puoi sapere quali sono le loro aspettative o quali sono le nostre aspettative senza parlare. Cos'è la diplomazia, amico mio? Questa è diplomazia» ha in tal senso dichiarato.

Come riferito venerdì stesso da Al Jazeera, la Turchia «aveva pianificato di aiutare a proteggere e gestire l'aeroporto strategico di Kabul, ma mercoledì ha iniziato a ritirare le truppe dall'Afghanistan – un segno evidente dell'abbandono di Ankara da questo obiettivo». Tuttavia, negli scorsi giorni, i talebani hanno chiesto ad Ankara aiuto per la gestione dell'aeroporto. Una richiesta a cui i turchi guardano con interesse ma anche con diffidenza. Secondo quanto riferito da due funzionari anonimi di Ankara a Reuters il 27 agosto, la Turchia non ha intenzione di aiutare ad amministrare la struttura dopo il ritiro definitivo della Nato «a meno che i talebani non accettino una presenza di sicurezza turca».

In particolare, sempre stando a quanto riportato da Reuters, Ankara nutrirebbe seri dubbi sulla capacità talebana di mantenere la sicurezza in loco, soprattutto dopo i sanguinosi attacchi jihadisti verificatisi il 26 agosto. «L'operazione può essere eseguita dalla Turchia tecnicamente... Ma la nostra richiesta è che la sicurezza sia garantita anche dalla Turchia, attraverso un'ampia squadra di sicurezza composta da ex soldati, ex polizia o un'impresa completamente privata» ha dichiarato a tal proposito un funzionario turco. Una posizione attendista, quindi, sottolineata dallo stesso Erdogan, il quale ha reso noto di non aver ancora preso una decisione definitiva sulla questione. «Non abbiamo ancora preso alcuna decisione su questo tema» ha dichiarato.

Il punto è che, almeno finora, i talebani si sono detti contrari a una presenza militare turca in Afghanistan. All'inizio della scorsa settimana, il loro portavoce, Zabihullah Mujahid, aveva dichiarato: «Vogliamo buone relazioni con la Turchia, ma non vogliamo i loro soldati in Afghanistan». E aveva aggiunto: «Non c'è bisogno di truppe turche in Afghanistan, siamo più che in grado di mettere in sicurezza l'aeroporto di Kabul da soli». Dichiarazioni, queste, che sono tuttavia state pronunciate prima degli attentati condotti dall'Isis-K. Attentati che hanno ora indebolito la posizione negoziale dei talebani e che potrebbero alla fine spingerli ad accettare le condizioni di Ankara.

In attesa di trovare un eventuale accordo sulla questione dell'aeroporto, è comunque chiaro che Erodgan non ha alcuna intenzione di restare estromesso dalla partita afghana. Non sarà allora un caso che, domenica scorsa, il Sultano si sia detto favorevole a stringere con i talebani un accordo in materia di sicurezza similare a quello siglato – nel novembre del 2019 – tra Ankara e Tripoli. «Non posso dire che fare un accordo del genere con la Libia sia fuori discussione. Possiamo fare un accordo simile purché troviamo un interlocutore» ha dichiarato. Inoltre, che Erdogan punti a restare è testimoniato anche dal fatto che l'ambasciata turca sia tornata nel proprio edificio al centro della città di Kabul.

Ma quali sono gli obiettivi di Ankara in Afghanistan? Innanzitutto, anche sfruttando i suoi rapporti storicamente ambivalenti con i talebani, il Sultano vuole mantenere la propria influenza sul Paese, ritagliandosi magari il ruolo di eventuale mediatore tra Kabul e la Nato (di cui – ricordiamolo – la Turchia fa parte). In secondo luogo, Ankara mira alla stabilizzazione dell'Afghanistan anche per scongiurare il rischio di ingenti flussi migratori. D'altronde, proprio tale questione costituisce da tempo una delle maggiori preoccupazioni di Erdogan. È quindi anche in questo quadro che Ankara punta – insieme con Cina e Russia – a svolgere un ruolo di primo piano in vista dell'eventuale G20 straordinario previsto per settembre.

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Stefano Graziosi